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Questo articolo è stato pubblicato il 09 novembre 2014 alle ore 12:10.
L'ultima modifica è del 09 novembre 2014 alle ore 14:32.

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Da allora le cose sono cambiate. In ottobre il Parlamento e la famiglie sarebbero state traferite – almeno secondo diverse fonti libiche - nel solo grande hotel della città. Circondato da veicoli blindati, filo spinato, e artiglieria pesante, il nome dell'albergo adibito a nuova sede del Parlamento è Dar el-Salam che , ironia della sorte, significa “la casa della pace”. Da un hotel galleggiante gli onorevoli sono ora prigionieri di un grande “albergo-fortezza” vista mare.
Solo pochi audaci si avventurano in città. Ancora meno sfidano la sorte e partono alla volta di Bengasi. Tripoli neanche a Parlarne.
E come se non bastasse, venerdì la Corte suprema , la massima autorità giuridica della Libia, ha dichiarato illegittima la Camera dei rappresentanti, questo nuovo Parlamento libico riconosciuto dalla comunità internazionale e frutto delle elezioni del 25 giugno. Di fatto la Corte ha annullato l'emendamento che aveva consentito le elezioni lo scorso 25 giugno, invalidando il risultato delle urne e dunque tutte le decisioni che ne hanno fatto seguito.
I giudici sono stati minacciati dalle milizie islamiche , hanno protestato i nuovi parlamentari. Tutto legittimo, hanno ribattuto da Tripoli gli esponenti della coalizione islamica.

L'ex regno di Gheddafi si trova così in balia di una situazione esplosiva che ha generato due parlamenti e due governi: da un parte il primo ministro Abdullah al-Thani e il suo nuovo - e più “laico” - governo riconosciuto dalla comunità internazionale ma trasferito a Tobruk per ragioni di sicurezza. Quanto alla Tripolitania, la coalizione islamista ha mantenuto in vita il vecchio Parlamento, ora guidato dall'onorevole Omar al-Hassi, l'autoproclamato premier libico del Governo di Tripoli. Il tutto con buona pace della volontà degli elettori. Molti di loro probabilmente non si immaginavo che il voto avrebbe peggiorato le cose. E che la Banca centrale – a sua volta spaccata, con un governatore vicino alla coalizione laica e un vicegovernatore vicino a quella islamica - per non scontentare nessuna delle fazioni rivali, provvede ora a pagare due Governi, due Parlamenti, trasferte, immunità, voli, hotel blindati, ecc ecc.. Per far fronte a una simile spesa è costretta ad attingere spesso alle sue riserve. Perché con la produzione petrolifera che funziona a singhiozzo, e comunque non ai livelli precedenti la rivoluzione – per accontentare tutti gli onorevoli della Libia - Islamici e laici, legittimi o meno – le entrate energetiche non sono più sufficienti.
Anche perché, al fine di evitare sommosse popolari e ulteriori disordini in un periodo già turbolento, gli stipendi dei pubblici dipendenti – un esercito di quasi un milione di persone su sei milioni di abitanti – continuano a salire. Alcune fonti parlano di aumenti del 60% dallo scoppio della rivoluzione.
Alla faccia della spending review.

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