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Questo articolo è stato pubblicato il 09 novembre 2014 alle ore 18:48.
L'ultima modifica è del 09 novembre 2014 alle ore 18:51.

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C'è una parola che risuona ripetutamente nell'affollata assemblea generale dell'Associazione nazionale magistrati: inganno. Ingannevoli le riforme del governo Renzi ma ingannevole anche l'informazione che se ne dà, direttamente o indirettamente. Sul banco degli imputati, nell'aula magna della Cassazione (dove si contano 2.071 partecipanti, tra presenti e deleghe), ci sono insomma politica e media. A “processarli” una magistratura che rivendica dignità, decoro, serietà e verità. E che almeno per un giorno prova a uscire dal recinto dell'afasia e dalla frustrazione in cui sono finiti con il governo Renzi, più che con Berlusconi.

Le perplessità sul j’accuse dell’Anm
La critica è in gran parte giustificata, anche se è legittimo chiedersi se il j'accuse dell'Anm sarebbe stato - e sarà - altrettanto impietoso in mancanza delle misure “punitive” adottate o minacciate indirettamente dal governo (dalle ferie alla responsabilità civile). Se, cioè, al netto di queste misure, la loro voce sarebbe (stata) altrettanto chiara e forte nel denunciare “la riforma che non c'è” e che invece viene spacciata per “rivoluzione” già approvata. O se invece si sentirebbe a malapena, proprio per evitare che la minaccia di misure “punitive” si possa trasformare in realtà, com'è accaduto durante il governo Monti (in cui aleggiava lo spettro della riforma sulla responsabilità civile) o durante il secondo governo Prodi (in cui l'obiettivo era “la riduzione del danno” sulla riforma dell'ordinamento giudiziario).

Gli “inganni” connessi alla riforma dell’autoriciclaggio
Detto questo, non c'è dubbio che l'”inganno” denunciato dall'Anm poggi su solidi dati di fatto. È senz'altro vero che, archiviata l'era berlusconiana, la giustizia e le sue buone ragioni sembrano avere scarso appeal mediatico, tanto più a fronte degli slogan efficaci del premier Matteo Renzi, che spesso fanno premio sulla realtà effettiva. Il che genera paradossi. Uno lo ha ricordato ieri Ezia Maccora, giudice a Bergamo, ex componente del Csm, citando due interviste fresche di stampa: quella al Governatore della Banca d'Italia sul peso che la criminalità economica continua ad avere nella fuga degli investitori stranieri e, quindi, sulla necessità di approvare al più presto, quantomeno, la riforma dell'autoriciclaggio. E quella al ministro della Giustizia Andrea Orlando, che continua a ripetere che il governo ha approvato varie riforme, tra cui anche l'autoriciclaggio. Delle due, l'una: o Visco non è informato o Orlando esagera. I fatti dicono che ha ragione Visco, ricorda Maccora: la riforma dell'autoriciclaggio non c'è, sebbene sia stata varata dal Consiglio dei ministri il 29 agosto scorso insieme ad altri 6 ddl di cui, dopo più di due mesi, soltanto quello sulla responsabilità civile è stato presentato (ma di recente) al Parlamento.

Riforma lontana dall’essere legge
L'autoriciclaggio faceva parte del ddl sulla criminalità economica che - a detta del ministro - era pronto addirittura a maggio scorso, ma che ancora non si vede in Parlamento. Nel frattempo, la norma per punire chi autoripulisce il danaro sporco è stata stralciata da quel testo e trasformata in emendamento al ddl sul rientro dei capitali dall'estero, che dopo mesi di attesa si è sbloccato tagliando il traguardo di una Camera e ora è all'esame dell'altra. Dunque, non è ancora legge, e meno che mai lo sono l'annunciata riforma della prescrizione, del processo penale, del processo civile, delle estradizioni, della magistratura onoraria. Il Parlamento ha atteso questi ddl per mesi e in alcuni casi ha anche bloccato l'esame sulle medesime materie, su richiesta del governo che li annunciava. Ma ad oggi non ve n'è traccia (si veda Il Sole 24 Ore del 6 novembre).

Responsabilità delle toghe, procedura infrazione Ue falso problema
Per una strana coincidenza, questa settimana Orlando sarà al Csm e probabilmente annuncerà l'arrivo di alcuni di questi testi per “smentire” le accuse dell'Anm. Ma, ammesso che stavolta alle parole seguano i fatti, il ritardo (senza precedenti) resta ed è grave, per di più su materie delicate, che richiedono tempo per l'esame parlamentare. Ha dunque buon gioco l'Anm a denunciare questo ritardo, e la priorità che, nei fatti, il governo ha invece voluto dare alla riforma della responsabilità civile dei giudici, l'unico dei 6 ddl portato finora alle Camere. Il governo replica che su questo fronte l'Italia è sotto procedura di infrazione Ue. Vero, siamo in ritardo. Ma, lo ha ricordato sempre Maccora, «non è vero» che l'Ue ci ha messo in mora sulla modifica della legge Vassalli, bensì soltanto su un punto, non previsto da quella legge, e cioè il mancato risarcimento da parte dello Stato per le manifeste violazioni del diritto europeo. A causa di questa lacuna (segnalata tre anni fa) e del ritardo accumulato per colmarla, ora il governo fa sapere che potrebbe presentare un decreto legge con i contenuti del suo ddl, che però riguarda l'intera legge Vassalli. A prescindere dai rilievi critici del Csm, in particolare sull'eliminazione del filtro ai ricorsi e dalle sue ricadute anche sull'indipendenza dei giudici. Eppure, il governo “offre” ai magistrati questa soluzione come “male minore” rispetto al rischio che il Senato approvi (con l'appoggio dell'alleato Ncd) un testo più “punitivo” per le toghe. Ma anche qui ha buon gioco la Maccora a smascherare i giochi politici nella maggioranza: si stralci dal ddl all'esame del Senato la norma richiesta dall'Ue, da approvare, sì, con decreto legge (poiché ci sarebbero i presupposti di necessità e urgenza), ma si lasci il resto nel ddl affinché se ne possa discutere in modo approfondito, tenendo conto anche del parere del Csm, e senza scorciatoie. Una soluzione ragionevole e cristallina, che toglierebbe dal tavolo delle riforme della giustizia molti alibi a quanti vi siedono.

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