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Questo articolo è stato pubblicato il 16 novembre 2014 alle ore 08:12.
L'ultima modifica è del 16 novembre 2014 alle ore 17:26.

«Non c'è nessun bisogno del patto del Nazareno, c'è bisogno di parlare con tutti». Poi l'affondo: «Quando si è rinnovato il patto del Nazareno la borsa ha perso il 2,9% e Mediaset ha guadagnato il 6%. Se è un toccasana del genere allarghiamolo a tutte le aziende».
Pier Luigi Bersani parla a Milano, alla prima iniziativa della minoranza del Pd "Area riformista", e non si lascia sfuggire l'occasione di attaccare ancora una volta il patto con il "giaguaro" stretto dal suo successore alla guida del partito e premier Matteo Renzi.

E la polemica è assicurata. Mentre il premier si trova a Brisbane per il G20 ci pensa il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi a replicare all'ex segretario ricordandogli che solo solo grazie al patto del Nazareno è stato possibile far sbloccare sia la riforma del Senato sia la riforma elettorale: «Credo che il patto del Nazareno sia utile perché avere trovato un accordo con Forza Italia ci ha consentito di avere la riforma costituzionale approvata al Senato e la Legge elettorale alla Camera». Da parte sua l'ex Cavaliere, che proprio ieri è tornato a blindare sia pur tra i distinguo l'accordo con Renzi (si veda l'articolo in pagina), risponde un po' piccato che «Bersani è lontanissimo dal vero»: «Non c'è nulla nel Patto del Nazareno che può influenzare Mediaset, che invece soffre del fatto che la pubblicità in Italia è diminuita e che l'azienda pubblica fa dumping, vendendola con il 90% di sconto».

Eppure la riunione della minoranza Pd a Milano era nata sotto un altro segno, quello del buon risultato raggiunto dagli oppositori interni a Renzi sul Jobs act con l'accordo della Camera. Ossia il sì del governo a introdurre già nella delega la questione del reintegro per i casi più gravi di licenziamento disciplinare come chiedeva appunto la minoranza. Anche Bersani nel suo intervento ha parlato di «passi avanti» sul Jobs act, così come sulla legge elettorale per la quale resta però la criticità dei capilista bloccati. Il senso dell'iniziativa era proprio quello di riunire le minoranze (ma Gianni Cuperlo non si è fatto vedere, così come Stefano Fassina e Pippo Civati) per dare rappresentanza dentro il Pd alle istanze della sinistra. Nessuna scissione è stata mai presa in considerazione, assicurano i protagonisti.

«Il Pd è casa nostra sul serio», ha ribadito Bersani. «Non lasciamo andare via la gente, cerchiamo di dare un messaggio di unità delle culture che si possono richiamare alla sinistra di governo». Messaggio ribadito anche dal giovane capogruppo alla Camera Roberto Speranza, punto di riferimento dell'area, e dal ministro dell'Agricoltura Maurizio Martina: «Non saremo né yes men né signornò». Il senso, spiega Speranza, è quello di creare un'alternativa a Renzi dentro il partito, ma dando fino in fondo una mano al governo. «Dobbiamo vivere insieme le sfide del governo del Paese – dice –. Perché se non ce la fa il Pd, che è l'unico partito non antisistema e per questo obbligato ad essere il perno, è il marasma». (Em. Pa.)

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