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Questo articolo è stato pubblicato il 18 novembre 2014 alle ore 06:38.

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BOLOGNA. Dal nostro inviato
Sono elezioni sotto traccia, nascoste, quasi clandestine, tutte incentrate sulle avvelenatissime 160 pagine di verbali che riportano i dialoghi tra i capigruppo regionali alla vigilia dell'inchiesta sui rimborsi spese.
Un esercizio di autolesionismo («i rendiconti sono le nostre mutande»; «il Pd è un partito pieno di idioti»; «i giornalisti sono servi della gleba», dice in una sorta di bulimica esternazione l'ex capogruppo del Pd in consiglio regionale Marco Monari) dal quale è scaturita l'iscrizione nel registro degli indagati di 41 dei 50 ex consiglieri regionali con l'accusa di peculato. Un florilegio, quello di Monari, registrato a sua insaputa dall'ex capogruppo grillino Andrea De Franceschi. I politologi fanno coincidere la degenerazione della classe dirigente con il monopolio della rappresentanza politica che perdura da oltre sessant'anni. Il Pd ha provato a modo suo a rinnovarsi, ma anche in Emilia le primarie hanno tradotto in percentuali i rapporti di forza all'interno del partito.
I «pesi» dentro il Pd
Nella trincea bersaniana, l'ha spuntata il renziano della seconda ora Stefano Bonaccini, cursus honorum tutto all'interno delle segrete stanze del partito ed ex assessore alla Cultura del Comune di Campogalliano. Dietro di lui, con il 40% dei consensi, l'ex sindaco di Forlì e ordinario di Storia contemporanea Roberto Balzani, uno che su due piedi ha chiuso l'aeroporto della sua città, in passivo cronico, ed è uscito dal patto di sindacato della multiutilities Hera, la vera camera di compensazione dei poteri forti piddini, proponendo il dimezzamento degli inceneritori. Balzani, in sole due mosse, ha messo in mora i totem della politica emiliano-romagnola di cui garante è stato l'ex governatore Vasco Errani. Una battaglia, quella di Balzani, per nulla solitaria.
Rifondare l'istituzione
Giovedì scorso i vertici emiliani di Confindustria hanno reso pubbliche 18 paginette di crudo realismo condite da una parola d'ordine: rifondare l'istituzione regionale. Tra le proposte c'è la riduzione a sette dei 348 sportelli "unici" per le attività produttive; sfrondare le procedure barocche e le procedure parcellizzate. Esempio: servono 499 società partecipate da Regione (che ne controlla direttamente 28) e Comuni che immobilizzano 5,3 miliardi di capitale? Roberto Magarò, segretario regionale dei dirigenti regionali, usa parole forti: «In Calabria uccidono con la lupara, qui con la delibera». Magarò si riferisce ai 155 dirigenti regionali in servizio, 63 di loro cooptati attraverso la chiamata diretta dei politici. «Ne basterebbero la metà» assicura. Dalle dimissioni di Errani del 24 luglio dopo la condanna per falso ideologico, il consiglio regionale, malgrado abbia poteri attenuati, è regolarmente insediato. Il funzionamento annuale dell'assemblea costa 34 milioni. Undici dunque i milioni bruciati in quattro mesi nell'attesa delle elezioni.

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