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Questo articolo è stato pubblicato il 23 novembre 2014 alle ore 18:08.
L'ultima modifica è del 23 novembre 2014 alle ore 19:40.

I primi dati sull'affluenza alle urne in Emilia Romagna e il Calabria confermano un calo della partecipazione rispetto alle ultime regionali del 2010: alle 19 l'affluenza in Emilia è stata del 30% mentre nel 2010 era quasi del 40%. Se si considera che alla scorsa tornata si votava anche il lunedì, il forte calo è significativo. Più fluida la situazione in Calabria, dove alle 19 ha votato il 34% degli elettori rispetto al 28% del 2010.

La previsione di Largo del Nazareno è che l'affluenza sarà in linea le scorse regionali in Calabria mentre ci sarà un calo di qualche punto in Emilia. Dove la vittoria di Stefano Bonaccini è comunque certa, in una competizione – si sottolinea – quasi senza rivali. «Le elezioni regionali non sono un referendum sul governo. Ovviamente io credo che finirà con una vittoria del Pd, in entrambi i casi», ha detto in mattinata la ministra per le Riforme Maria Elena Boschi, ribadendo la linea dettata dal premier Matteo Renzi negli ultimi giorni. E in ogni caso – si sottolinea ai piani alti di Largo del Nazareno – non è che il dato della bassa affluenza possa essere messo in conto al Pd, il partito che vince: è un problema di disaffezione che colpisce tutta la politica, e soprattutto colpisce chi perde.

L'impatto del voto regionale sul patto del Nazareno
Anche in Calabria il candidato del Pd Mario Oliverio non ha grandi ostacoli davanti a sé, dal momento che Fi e i centristi di Angelino Alfano si sono presentati separati. Mentre in Emilia il dato politico più interessante da analizzare, oltre a quello dell'astensione, che secondo alcuni politologi ha a che fare con la crisi del “modello emiliano”, sarà nella prossime ore il conto interno alla coalizione di centrodestra guidata dal giovane leghista Alan Fabbri, sostenuto anche da Forza Italia e da Fratelli d'Italia in una sorta di riproposizione della vecchia coalizione della Casa delle libertà (ma senza il Nuovo centrodestra di Alfano): se la Lega prenderà più voti di Fi, per Silvio Berlusconi si porrà un problema non di poco conto in vista delle future alleanze per il voto politico. Problema che avrà riflessi diretti sul Patto del Nazareno con Renzi e quindi sul destino dell'Italicum, incardinato proprio in questi giorni in commissione Affari costituzionali del Senato.

Il nodo del premio alla lista
Tra le modifiche da apportare all'Italicum licenziato alla Camera nel marzo scorso, oltre al livellamento verso il basso delle soglie di sbarramento (3% per tutti), c'è infatti il premio alla lista anziché alla coalizione fortemente voluto dal premier e che nella sua ottica dovrebbe incentivare il bipartismo. Ma con una Lega forte le resistenze di Berlusconi su questo punto saranno maggiori, dal momento che difficilmente il partito di Matteo Salvini accetterebbe di entrare in un listone indistinto di centrodestra. E, più in generale, un risultato cattivo per Forza Italia confermerebbe a Berlusconi che, al di là della propaganda brunettiana che invoca le urne politiche subito, c'è bisogno di tempo per ricostruire un'alternativa di centrodestra al Pd di Renzi.

Il timore del voto anticipato
Il timore degli azzurri, che è anche il timore del Nuovo centrodestra e della minoranza del Pd, è che con l'Italicum approvato entro fine anno o al massimo nelle prime settimane del 2015 – come è intenzione di Renzi – il premier avrebbe l'arma carica per riandare alle elezioni la prossima estate. Vero che l'Italicum, una volta approvato, potrebbe essere applicato solo alla Camera. Mentre per il Senato varrebbe il proporzionalissimo Consultellum rimasto in piedi dopo la bocciatura del Porcellum da parte della Consulta, almeno fino all'approvazione della riforma costituzionale che abolisce il Senato elettivo. Ma questo non basta a rassicurare Berlusconi. E il timore di elezioni anticipate potrebbe rallentare l'iter della legge, tanto più che alcuni costituzionalisti (a cominciare dall'ex presidente della Consulta Ugo De Siervo) hanno posto il problema, in audizione a Palazzo Madama, della possibile incostituzionalità di una legge che vale solo per un ramo del Parlamento: se fosse necessario andare alle urne prima del varo definitivo della riforma costituzionale i due sistemi (Italicum per la Camera e Consultellum per il Senato) sarebbero irrazionalmente diversi.

Il premier studia la “norma transitoria”
Nell'entourage di Renzi – forti del parere di altri costituzionalisti come Augusto Barbera e Stefano Ceccanti – sono convinti che l'obiezione di De Siervo e altri non impedisca di approvare l'Italicum così com'è, ossia valevole solo per la Camera. Né dal capo dello Stato, che dovrà firmare la legge, sono giunte informalmente obiezioni su questo punto. Ma il problema c'è, ed è tutto politico. Per questo il premier e i suoi stanno pensando alla soluzione di una norma transitoria, da approvare constestualmente al voto finale sull'Italicum, che vincola l'entrata in vigore della nuova legge elettorale all'approvazione della riforma costituzionale. «Come atto politico e non perché necessario – si spiega –, per tranquillizzare i tanti che hanno paura del voto. È la dimostrazione che noi a votare non ci vogliamo andare, vogliamo fare le riforme».

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