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Questo articolo è stato pubblicato il 03 dicembre 2014 alle ore 06:37.
L'ultima modifica è del 03 dicembre 2014 alle ore 06:48.

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ROMA
L'ironia della sorte ha voluto che Vladimir Putin annunciasse lo stop al South Stream, la pipeline che porterà il gas di Mosca fino all'Europa centrale via Balcani, passando sotto il Mar Nero e aggirando l'Ucraina, nello stesso giorno in cui la Castoro 6, la nave piattaforma di Saipem, lasciava la Bulgaria alla volta della Russia per cominciare la posa dei tubi in acque poco profonde. In ballo ci sono circa 2,5 miliardi di euro di contratti che la società si è aggiudicata e che ora rischiano di saltare. «Come abbiamo spiegato nella nota diffusa oggi (ieri, ndr), non abbiamo ancora ricevuto alcuna indicazione dal cliente - spiega l'ad di Saipem, Umberto Vergine, al Sole 24 Ore -, abbiamo appreso dalla stampa del doppio alt (dopo Putin anche quello dell'ad di Gazprom, Alexey Miller, ndr). Il contratto è comunque strutturato in modo tale da coprire eventuali condizioni di cancellazione o interruzione di lavori, ma finora nessuno ci ha chiamato».
Se all'annuncio seguiranno i fatti, quale sarà l'impatto sui conti?
È sicuramente tra i contratti più importanti per dare linfa al nuovo corso di Saipem e al momento è molto difficile valutare perché ci sono sul tavolo diversi scenari legati alle modalità di terminazione del contratto. Le clausole contrattuali coprono bene tutte le evenienze. Tuttavia, se il gasdotto fosse bloccato, non ci sarebbe solo un'erosione dei margini, garantiti soltanto in parte, ma bisognerebbe tenere conto anche del fermo prolungato dei mezzi. E sarebbe tardi per provare a riutilizzarli su altri progetti visto che, per l'estate prossima, è già stato tutto predisposto dai vari operatori.
E quanto inciderebbe?
È difficile fare una quantificazione oggi. Una cosa però è chiara: tutte le clausole contrattuali non ci consentirebbero di avere gli stessi risultati che conseguiremmo se si svolgesse il progetto. Ad ogni modo, se si arrivasse allo stop, per Saipem ci sarebbe un ricavo mancante nel 2015 per 1,250 miliardi di euro. È un progetto importante e uno stop si tradurrebbe in una carenza di margini significativa e in un fermo delle navi con relativo costo.
Una brutta tegola sul 2015?
Direi di sì. Il 2014 è stato per noi un anno di transizione, ancorché positivo e migliore dell'anno precedente. Il 2015 doveva essere l'anno in cui consolidare la performance e, invece, la strada sarà ancora in salita. Se poi consideriamo anche il calo del prezzo del greggio, l'impatto di questi fattori non sarà marginale.
Il South Stream pare avere un destino travagliato. Anche l'Eni ha detto che uscirà dal progetto se non saranno rispettati gli impegni budgetari.
Sicuramente ci sono delle problematiche e il quadro si è radicalizzato dopo lo scontro tra Russia e Ucraina. Certo c'è il tema delle risorse, il progetto deve essere finanziato al 70% con projet financing e dal 30% di equity. Noi, però, finora non abbiamo ricevuto né dai russi né dagli altri partner europei dichiarazioni che lasciassero presagire un passo indietro.

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