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Questo articolo è stato pubblicato il 17 dicembre 2014 alle ore 06:37.

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il messaggio ai sindacati

«Ai sindacati chiedo il rispetto delle prerogative delle decisioni del governo e del Parlamento e uno sforzo convergente di dialogo»

ROMA

Comincia dall’Europa, dal «forte consenso» per il premier alle elezioni di maggio per arrivare fino al semestre europeo e indicare una data, il 13 gennaio, che molti si sono appuntati. Sarà quello il giorno in cui Matteo Renzi terrà il suo discorso finale – da presidente di turno Ue – a Strasburgo ed è quella la data che viene considerata l’orizzonte della fine del mandato del capo dello Stato. «Mi ero personalmente impegnato per garantire stabilità ancora una volta, per tutto lo speciale periodo del semestre italiano di presidenza europea». Dunque se è questa la prospettiva, il saluto di ieri di Giorgio Napolitano ai vertici dello Stato acquista il particolare valore di un’indicazione di rotta che è un sostegno politico al premier e alle riforme considerate necessarie. E un ennesimo avvertimento contro il voto anticipato. «Non si attenti in qualsiasi modo alla continuità di questo nuovo corso. Si sono messi in moto processi di cambiamento all’interno, e un fenomeno di attenzione fiduciosa dall’esterno, che mi fanno registrare con un segno positivo la conclusione del 2014».

Il succo del discorso di Napolitano sta nel legare le riforme alla legislatura e dunque a dare forza alla premiership di Renzi che quei cambiamenti ha messo in cantiere. Li cita tutti il capo dello Stato ma battendo soprattutto il tasto delle riforme economiche e istituzionali puntando l’indice contro una minoranza Pd che ha cercato in tattiche dilatorie o discussioni “ipotetiche” di allungarne i tempi. «Non possiamo essere ancora - è vizio antico - il Paese attraversato da discussioni che chiamerei ipotetiche: se, quando e come si possa o si voglia puntare su elezioni anticipate, da parte di chi e con quali intenti; o se soffino venti di scissione in questa o quella formazione politica, magari nello stesso partito di maggioranza relativa. È solo tempo - e inchiostro - che si sottrae all’esame dei problemi reali che sono sul tappeto. È solo un confuso, nervoso agitarsi che torna ad evocare lo spettro dell’instabilità. E il danno può essere grave».

Si sono sentiti direttamente chiamati in causa i “dissidenti” del Pd e così sia Fassina che Cuperlo che D’Attorre chiedono di non interpretare le parole del Colle in una chiave «divisiva» mentre Fassina insiste nel giudicare sensato il suo attacco al premier e alla sua tentazione di voto anticipato. Ma ieri non hanno comunque trovato sponde al Quirinale, nemmeno sul fronte delle riforme istituzionali su cui la critica di Napolitano è stata tagliente, precisa. «Sembra quasi, a taluni, che il superamento del bicameralismo paritario sia un tic da irrefrenabili “rottamatori” o da vecchi cultori di controversie costituzionali», diceva nei suoi 25 minuti di discorso al Quirinale davanti alle Alte cariche, dove ha assestato un altro colpo ai dissidenti parlando di «spregiudicate tattiche emendative» per bloccare legge elettorale e riforma del Senato e «vulnerare fatalmente la sua efficacia». E non si dica che «c’è precipitazione, che si procede in fretta», richiama Napolitano ricordando anni di discussioni su quelle stesse riforme.

Insomma, all’indice mette quel clima di guerriglia parlamentare di cui Napolitano vede un rischio chiaro, quello di rinviare una riforma da cui passa «il recupero della agibilità del processo legislativo». Il riferimento è «all’abuso della decretazione d’urgenza, al ricorso a fiducia su abnormi maxi-emendamenti». E in questa spinta alle riforme ci sono anche quelle economiche ma prima Napolitano cita le «40 crisi di aziende salvate configurando importanti scelte di politica industriale». Il caso di Ast Terni, Electrolux e, ora, Ilva.

L’appoggio, convinto, è «per l’ampia riforma del mercato del lavoro, divenuta improvvidamente oggetto di un’interpretazione riduttiva, concentrata sul punto di massimo possibile dissenso». Anche qui viene in mente l’opposizione della minoranza Pd. E anche i sindacati reduci da uno sciopero generale a cui il capo dello Stato suggerisce «rispetto delle prerogative di decisione del Governo e del Parlamento, senza devianti commistioni. E rispetto del ruolo dei sindacati, di rappresentanza e, negli ambiti appropriati, negoziale». In sostanza, nessuna interpretazione estensiva del ruolo delle confederazioni.

Torna l’Europa, torna il semestre Ue e la soddisfazione di aver evitato bocciature alla legge di stabilità, con esplicita lode per il ministro dell’Economia. «Ci siamo presentati con le carte in regola per quel che riguarda il rispetto dei vincoli, ottenendo un via libera della Commissione ed evitando richieste di manovre di bilancio aggiuntive: e molto ha contato in questo senso il valore e l’affidabilità di Pier Carlo Padoan». Le prove però sono ancora tutte sul campo. La mina della manovra correttiva è disinnescata solo temporaneamente e «le prove che noi abbiamo davanti sono ancora pesanti: il 2014 non si chiude bene per l’economia e la disoccupazione mentre la recessione si è radicata al Sud». Nella risalita serve un clima di fiducia che il presidente esprime innanzitutto «sulle potenzialità della nostra realtà produttiva, specie manifatturiera, della nostra imprenditoria e del nostro capitale umano, della nostra capacità di ricerca scientifica e innovazione tecnologica. E ciò in rapporto a fatti concreti attuali, come l’andamento sostenuto dell’export». Non manca l’accenno alla corruzione, di cui aveva già parlato la scorsa settimana, e ripetendo la necessità di colpire «i bersagli giusti senza generalizzazioni improprie». Un «grande discorso» dirà Renzi al termine della cerimonia. Oggi saranno al Quirinale insieme per discutere del Consiglio Ue di giovedì. E giovedì ci sarà il saluto del capo dello Stato al Corpo diplomatico, un’occasione per parlare dei marò e dei «no» dell’India che hanno profondamente amareggiato Napolitano.

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