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Questo articolo è stato pubblicato il 19 dicembre 2014 alle ore 18:08.
L'ultima modifica è del 20 dicembre 2014 alle ore 12:44.

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C’è la Corea del Nord dietro all'attacco hacker che il 24 novembre scorso ha colpito Sony, facendo sparire migliaia di documenti privati e film. Lo ha annunciato l'Fbi ieri definendo il cyberattacco «un comportamento inaccettabile per uno Stato». Secondo la polizia federale - che ha aperto un'inchiesta - le prove iniziali riconducono al regime di Pyongyang. In base all’inchiesta, riferiscono fonti del Guardian, la Corea del Nord potrebbe essere stata aiutata da «attori cinesi» o potrebbe avere usato server cinesi per mascherare l'origine dell'attacco.

Dopo gli attacchi hacker Sony ha deciso di bloccare la prima di The Interview, il film con James Franco che prende in giro l'attuale leader di Pyongyang, Kim Jong-un, e che sarebbe alla base degli attacchi hacker che l'anno colpita.

E dopo Sony, anche la casa di produzione Paramount ha deciso di bloccare la proiezione del vecchio film di animazione Team America sulla Corea del Nord, in particolare sul defunto leader nordcoreano Kim Jong-il. I tre cinema dove il film di Paramount è stato annullato, ossia il Capitol Theatre di Cleveland, l'Alamo Drafthouse di Dallas e il Plaza Atlanta di Atlanta, avevano annunciato di voler proporre Team America proprio dopo la cancellazione della pellicola di Sony.

Pyongyang nega di avere legami con hacker
La Corea del Nord nega di avere legami con gli attacchi dei pirati informatici contro Sony. Non solo. Pyongyang ha proposto oggi un'inchiesta congiunta, insieme con gli Usa, sull'attacco hacker contro la Sony Pictures, che ha bloccato l'uscita nelle sale del film su Kim Jong-un. Lo ha reso noto l'agenzia ufficiale nordcoreana Kcna. «Possiamo provare di non aver nulla a che fare con il cyber-attack contro la Sony», sostiene l'agenzia, voce ufficiale del regime.
Pyongyang avverte inoltre che ci saranno «gravi conseguenze» se gli Usa non aderiranno alla proposta di un'inchiesta congiunta e «continueranno ad accusarci».

Replica della Sony: delusi da Obama, cerchiamo alternative per proiettare il film
Intanto la Sony replica oggi al presidente Usa Obama che ieri aveva affermato che «lo studio cinematografico americano «ha fatto un errore» quando mercoledì scorso ha deciso di annullare le proiezioni di «The interview». Michael Lynton, presidente e ad di Spe, ha respinto al mittente le critiche: «Direi frottole se dicessi che non sono deluso» dalle parole del presidente.

Inoltre, l’ad della Sony ha reso noto che la casa cinematografica sta cercando alternative per proiettare comunque la pellicola The Interview e anzi ha negato di aver «ceduto e fatto marcia indietro» dopo l'attacco e dopo le minacce degli hacker. «Non abbiamo ceduto, non ci siamo ritirato, abbiamo perseverato e non abbiamo fatto marcia indietro», ha detto intervistato dalla Cnn.

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