Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 27 dicembre 2014 alle ore 08:12.

My24

Con l’'inflazione nell’eurozona che si avvia a grandi passi a scendere sotto lo zero, il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, è davanti a un bivio, dove la scelta sulle base delle ragioni economiche dovrebbe essere ovvia, mentre quella politica è assai più complessa. Draghi dovrà scegliere fra cercare di placare i suoi critici, tedeschi in primis, una missione che appare pressoché impossibile, o salvare l’unicità della politica monetaria e, in ultima analisi, dell’eurozona. Le attese che si sono create, e che lui stesso ha in larga misura contribuito a creare, perché imbocchi la prima strada, le ragioni dell’economia, alla prossima riunione di consiglio il 22 gennaio, o al più tardi a quella dei primi di marzo, sono ormai così pressanti che l’alternativa rischia un contraccolpo violento, tale da mettere in pericolo addirittura la salvaguardia dell’euro per la quale due anni fa si era impegnato a «fare tutto il necessario».

Le ultime parole di Draghi alla conferenza stampa di dicembre – «Sarebbe illegale non perseguire il nostro mandato» – sono la chiave per capire che il presidente della Bce, seppur riluttante e dopo molti costosi rinvii, ha ormai varcato il Rubicone sulla via di acquisti di titoli che comprendano i titoli di Stato dei Paesi europei, il cosiddetto Quantitative easing (Qe), già adottato dalle altre grandi banche centrali, e quel che resta da decidere sono le modalità.

L’inflazione è allo 0,3%, scenderà quasi certamente sotto lo zero forse già dal mese prossimo, è destinata a restare troppo bassa almeno per i prossimi due anni, secondo le previsioni della stessa Bce. L’inflazione di base, esclusi energia e alimentari, è a sua volta stabilmente sotto l’1%.

Il mandato della Bce richiede di riportare l’inflazione “sotto, ma vicino al 2%”. Con i tassi ufficiali già a zero, l’unica opzione è quella di espandere il bilancio della Bce stessa, che ha dichiarato l’intenzione di ampliarlo di circa mille miliardi. Gli strumenti già varati – i prestiti a bassissimo costo alle banche, gli acquisti di obbligazioni bancarie garantite e di titoli cartolarizzati – sono palesemente insufficienti allo scopo. Restano gli acquisti di obbligazioni societarie, ma, soprattutto, quelli di titoli sovrani, un mercato da 6mila miliardi di euro, l’unico che dispone dei volumi necessari.

I critici di questa soluzione, il più influente dei quali è il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, ritengono che, anche lasciando da parte le possibili obiezioni giuridiche di una violazione dei Trattati (che senza dubbio riaffioreranno in nuovi ricorsi alla Corte costituzionale tedesca), il pericolo sia di eliminare l’incentivo alle riforme economiche per i Governi dei Paesi più bisognosi di farle e di redistribuire in modo surrettizio i rischi fra creditori e debitori, a scapito dei primi, Germania in testa. Anche se, come Draghi ha ricordato, l’unanimità non è necessaria, la presenza a fianco di Weidmann di due membri del comitato esecutivo di Francoforte (l’altra tedesca Sabine Lautenschlaeger, ex vicepresidente della Bundesbank, e del lussemburghese Yves Mersch) e di due-tre governatori di banche centrali nazionali spinge verso la ricerca di un compromesso che limiti il dissenso. Draghi si confronta anche con una situazione politica in Germania ben diversa da quella del 2012, quando nel giro di ventiquattr’ore il cancelliere Angela Merkel tacitò le obiezioni di Weidmann all’impegno del presidente della Bce a «fare tutto il necessario». Oggi Merkel si confronta con una minaccia crescente alla sua destra da parte di un movimento euroscettico che non può più ignorare. È molto probabile che il cancelliere opti per non pronunciarsi pubblicamente. Secondo qualificate fonti di Berlino, Joerg Asmussen, il tedesco che ha preceduto Lauteschlaeger nel consiglio Bce e nel 2012 è stato un alleato decisivo di Draghi, sta cercando di convincere il leader socialdemocratico e vicecancelliere, Sigmar Gabriel, ad appoggiare le scelte del capo della Bce. Una decisione che rischia l’impopolarità, dato che media e opinione pubblica si schiereranno massicciamente contro Draghi.

L’opzione favorita dai cosiddetti “falchi” è di aspettare che il calo dell’inflazione, prodotto soprattutto dal crollo dei prezzi del petrolio, rientri e che l’euro debole e l’energia a buon mercato diano un po’ di fiato alla crescita. Il differenziale di crescita a favore dell’economia tedesca (seppure anche questa non sia brillante) sul resto dell’eurozona complica l’equazione politica, secondo Lena Komileva, di G+ Economics. Ma la Bundesbank ha già sbagliato i conti all’inizio del 2014 sulla capacità della Germania di riprendersi da sola e comunque altri mesi di inflazione a zero e inazione della Bce produrrebbero un tracollo delle aspettative d’inflazione e, di fatto, un irrigidimento della politica monetaria nel momento in cui andrebbe invece allentata, oltre a decretare l’insostenibilità del debito pubblico di diversi Paesi, fra cui l’Italia.

Weidmann ha suggerito due alternative: l'acquisto di soli titoli tripla-A, in pratica i soli Bund (scelta discutibile quando i rendimenti dei titoli di Stato tedeschi sono già sotto zero e la Germania è quasi l’unico Paese in cui non ci sia bisogno di pompare liquidità addizionale), oppure l’assunzione da parte della banca centrale di ciascun Paese del rischio sugli acquisti dei rispettivi titoli di Stato. È la proposta più insidiosa. Darebbe ai mercati finanziari il chiaro segnale che l’ultima arma nelle mani della Bce, il Qe, è un’arma spuntata, che ogni Paese deve sbrigarsela da solo e aumenterebbe il rischio sovrano dove c’è più bisogno di ridurlo. Una scelta del genere, secondo Huw Pill, di Goldman Sachs, ex economista della Bce, avrebbe «significative implicazioni di mercato». In altre parole, un contraccolpo sugli spread potenzialmente fatale.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi