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Questo articolo è stato pubblicato il 27 dicembre 2014 alle ore 19:14.

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Il Jobs Act e il decreto attuativo sul contratto a tutele crescenti, approvato in Consiglio dei Ministri il 24 dicembre, non è applicabile ai lavoratori del pubblico impiego. La precisazione arriva dal ministero del Lavoro che chiarisce come la discussione sulla legge delega è stata fatta sul lavoro privato, mentre sul lavoro pubblico c'è in Parlamento una legge delega sulla Pubblica Amministrazione, nell'ambito della quale si potranno eventualmente affrontare tali tematiche.

Ichino (Sc): nuove regole valide anche per statali
È stato oggi il giuslavorista e senatore di Scelta Civica Pietro Ichino, in un colloquio con il Corriere della Sera, a lanciare il sasso, dicendosi «certo che le nuove regole saranno applicabili anche ai dipendenti pubblici». A riprova di ciò Ichino ha citato il fatto che «quasi all'ultimo momento, è stata cancellata la norma che ne prevedeva espressamente l'esclusione». Per il giuslavorista «il testo unico dell'impiego pubblico stabilisce che, salve le materie delle assunzioni e delle promozioni», soggette al concorso, «per ogni altro aspetto il rapporto di impiego pubblico è soggetto alle stesse regole che si applicano nel settore privato».

Damiano (Pd): Jobs act non vale per statali, chiaro fin da inizio
A Ichino ha indirettamente replicato il presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano (Pd), che ai microfoni del Tg3 ha assicurato: le regole del Jobs act «non valgono per i lavoratori statali. Questo è stato chiaro fin dall'inizio, questi lavoratori sono con altre regole rispetto all'impiego privato».

Sacconi (Ap): applicare riforma anche a pubblico impiego
Ad ogni modo un appello ad «applicare la riforma del lavoro anche al pubblico impiego» è stato lanciato dal presidente del gruppo al Senato di Area Popolare (Ncd - Udc) Maurizio Sacconi, che ha spiegato: «Quando presentammo questo criterio di delega fummo indotti a ritirarlo dal governo in quanto esso considerava già vigente l'impegno ad omologare lavoro pubblico e lavoro privato». E ha evidenziato, tra l’altro, come «più in generale rimangono irrisolti i nodi del licenziamento per scarso rendimento e quello della troppo ampia discrezionalità del magistrato con riferimento alla reintegrazione nel caso di licenziamento disciplinare»

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