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Questo articolo è stato pubblicato il 28 dicembre 2014 alle ore 14:49.
L'ultima modifica è del 29 dicembre 2014 alle ore 21:25.

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Caro Direttore,
il rapporto tra l'Italia e l'Unione europea, affrontato insieme ad altri temi nella Sua lettera ai lettori del 24 dicembre, è stato spesso trattato in modo strumentale, secondo convenienze ed opportunismi. Non è un fenomeno soltanto italiano. È un'attitudine diffusa in tutta Europa, che ha prodotto un deficit assai pericoloso. Non si tratta, in questo caso, di un deficit di finanza pubblica. Si tratta del deficit di fiducia che condiziona sia i rapporti tra cittadini e istituzioni europei, sia i rapporti tra i popoli stessi.

Una conseguenza grave di questa sfiducia reciproca è il restringimento dell'orizzonte temporale nella governance comunitaria, che si traduce nella preferenza per politiche di breve termine e nella tentazione di affrontare problemi strutturali attraverso scorciatoie inefficaci quando non controproducenti.
Il risultato di questa tendenza è la difficoltà nel fare progredire l'Unione verso una maggiore integrazione e verso un'uscita definitiva dalla crisi.

Per questa ragione sono contrario a strategie basate sul concetto di alleanza con questo o quel paese membro dell'Unione europea: un'alleanza con qualcuno è sempre anche alleanza contro qualcun altro. Abbiamo invece bisogno di procedere uniti, costruendo con pazienza e tenacia condizioni di fiducia reciproca capaci di realizzare una governance politica ed economica efficace, in grado di affrontare i problemi materiali in cui si dibattono i cittadini europei anche attraverso politiche macroeconomiche adeguate alla crisi che stiamo affrontando, di natura non semplicemente ciclica.

La crisi finanziaria ha messo in evidenza i limiti della governance dell'Unione europea malgrado i progressi compiuti - tra l'altro - in tema di unione bancaria. Non è un caso che l'eurozona presenti una performance economica del tutto insoddisfacente, largamente inferiore a quella degli Stati Uniti e di altre aree del mondo. Con una economia che rimane debole, la disoccupazione - in particolare quella giovanile - è cresciuta fino a limiti insostenibili per una società democratica. La disoccupazione crescente o stabilizzata su livelli elevati e l'incertezza nel futuro hanno generato un diffuso senso di insicurezza tra i cittadini di molti paesi membri che rischia di minare la coesione europea.

Oggi i partiti euroscettici possono contare, in molti paesi, su un consenso elevato. Domani in alcuni di questi paesi i partiti euroscettici potrebbero essere al governo. Il Governo italiano ha da tempo riconosciuto questo stato delle cose, ha messo da parte la tentazione di scaricare sull'Europa la responsabilità dei problemi, senza tuttavia chiudere gli occhi davanti alle inefficienze della governance dell'Unione. Il Presidente del Consiglio ha dichiarato fin dall'insediamento dell'Esecutivo che un'Italia forte e credibile avrebbe dovuto assumersi la responsabilità di favorire un'evoluzione delle istituzioni e delle politiche europee in grado di affrontare il profondo malessere prodotto dalla crisi.

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