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Questo articolo è stato pubblicato il 30 dicembre 2014 alle ore 06:36.

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I PIANI DI SALVATAGGIO

Il 2 maggio del 2010 il premier Papandreou si accorda con i leader dell’Eurozona e con il Fondo monetario internazionale per un pacchetto triennale di aiuti da 110 miliardi di euro, vincolato a una serie di misure di austerity concordate e monitorate periodicamente dalla troika dei creditori internazionali (U, Bce e Fmi). Al primo pacchetto di aiuti seguirà, nel febbraio 2012, l’accordo su un nuovo stanziamento da 130 miliardi, previa ristrutturazione del debito pubblico in mano ai privati (il discusso “haircut” del 53,5%).

LA GRADUALE RIPRESA

Dopo anni di crescita negativa e pagelle preoccupanti la Grecia sembrava aver ritrovato quest’anno il passo giusto: la crescita ritrovata, attestata dalle ultime previsioni della Commissione europea, il miglioramento dei conti pubblici, testimoniato da un avanzo primario dello 0,8% nel 2013, persino il rilancio del faticoso programma di privatizzazioni facevano intravvedere l’uscita dal tunnel, sebbene restasse il pesante fardello del debito pubblico. Il quadro positivo trovava riscontro anche nel calo dei rendimenti dei titoli di Stato decennali.

NUOVA CRISI POLITICA

Ottenuta un’estensione di due

mesi dell’attuale programma di salvataggio, il premier Samaras ha provato a giocare d’anticipo, accelerando l’iter per la scelta del nuovo presidente con l’obiettivo di incassare una sostanziale manifestazione di fiducia prima di nuove impopolari misure di austerity. Ha perso però la scommessa e ora dovrà fronteggiare, il 25 gennaio, elezioni anticipate che vedono in testa il partito anti-austerity Syriza. La sua eventuale vittoria allarma i mercati, i partner Ue e l’Fmi, complicando gli scenari di uscita dal bailout.

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