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Questo articolo è stato pubblicato il 31 dicembre 2014 alle ore 06:37.
L'ultima modifica è del 31 dicembre 2014 alle ore 09:27.

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LA SFIDA LE PEN

Alle provinciali di marzo e alle regionali di dicembre socialisti e Ump di Sarkozy dovranno misurarsi con il Front National, in testa ai sondaggi

PARIGI

«Dobbiamo dimostrare a noi stessi e al mondo che la Francia è in grado di cambiare, che è capace a fare le riforme». Il premier Manuel Valls chiude così il messaggio politico che accompagna l’Agenda delle riforme di qui al 2017 (cioè alla fine del mandato presidenziale di François Hollande) presentata lo scorso 12 dicembre.

“Riforme” è d’altronde diventata ormai una sorta di parola magica, da usare (e abusare) come il prezzemolo, sicuramente la parola più utilizzata dai ministri francesi negli ultimi mesi.

Il 2015 dovrebbe quindi essere l’anno delle riforme, della dimostrazione – da parte della classe dirigente francese – di avere il coraggio, e la forza, per cambiare, iniziare a cambiare, una società paralizzata dalla paura del nuovo, schiava del suo conservatorismo e delle sue corporazioni. Come ben dimostra l’ennesima vittoria della lobby dei tassisti di fronte alla concorrenza di Uber con la sua applicazione Uberpop. La dimostrazione che il nuovo Governo rappresenta davvero una svolta ed è dalla parte delle imprese. Che c’è davvero la volontà, al di là delle parole e degli annunci, di liberare le risorse bloccate da ostacoli anacronistici e di ridare alla Francia l’attrattività internazionale perduta.

Il primo test sarà a fine gennaio, con l’arrivo in Parlamento (a partire dal 26) del progetto di legge “per la crescita e l’attività” preparato dal ministro dell’Economia Emmanuel Macron. La cui biografia è di per sé una riforma. Giovane (36 anni), non è mai stato eletto, prima di entrare sulla scena politica (come vice segretario generale dell’Eliseo) faceva il banchiere d’affari da Rothschild e cerca di conciliare quello che in Francia è da sempre inconciliabile: la sinistra e il liberismo (sia pure moderato).

In un Paese occidentale moderno, il suo provvedimento non avrebbe nulla di rivoluzionario. E sarebbe anzi ritenuto troppo timido, troppo poco ambizioso (come peraltro molti osservatori lo giudicano). Cosa c’è infatti di strano a poter aprire i negozi la domenica e la sera (non sempre e non ovunque) se il mercato lo chiede? Cosa c’è di pericoloso nel dare ai privati la possibilità di portare della gente in pullman da una città francese all’altra? Cosa c’è di sbagliato nel cercare di attenuare le posizioni di rendita e i privilegi delle professioni regolate?

Eppure in Francia questo progetto di legge farà fatica a trovare una maggioranza in aula (dove la sinistra socialista ha già annunciato il proprio voto contrario) e Macron sarà costretto ad altre mediazioni, ad altri compromessi oltre a quelli già avvenuti rispetto alla versione originale.

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