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Questo articolo è stato pubblicato il 31 dicembre 2014 alle ore 06:37.
L'ultima modifica è del 31 dicembre 2014 alle ore 09:27.

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Per fortuna di passi indietro il Governo francese non ne può fare molti. Anche perché sull’esito di questo pacchetto di riforme sono puntati i riflettori della Commissione europea, che a marzo dovrà pronunciarsi in maniera definitiva sul budget 2015. Per evitare l’apertura di un’altra procedura per deficit eccessivo, che questa volta porterà alle sanzioni, e ottenere il via libera allo slittamento di ulteriori due anni (al 2017) del target del deficit, Parigi deve far vedere a Bruxelles che questa volta intende fare sul serio. Seppure sia probabile che la Commissione chieda alla Francia uno sforzo supplementare di circa quattro miliardi in termini di riduzione della spesa pubblica.

Apparentemente niente di drammatico per un Paese la cui spesa sta continuando a salire e raggiungerà i 1.285 miliardi nel 2017 (anche perché, nonostante le assicurazioni e le promesse, è tornato a crescere il numero di dipendenti pubblici). Ma il negoziato non sarà facile, visto che il Governo ha detto e ripetuto che non intende andare oltre i 21 miliardi di rallentamento già previsti nel 2015 (sui 50 programmati nel triennio).

L’altro appuntamento cruciale, l’altro test sulla reale volontà di cambiare è fissato per il 17 febbraio, quando organizzazioni sindacali e imprenditoriali si incontreranno per avviare il negoziato sulle pensioni complementari (un sistema gestito appunto dalle parti sociali e che garantisce in molti casi un reddito superiore a quello delle pensioni pubbliche di base). I due fondi sono in rosso per oltre otto miliardi e se non si interviene rapidamente c’è il rischio che a partire dal 2018 non si possano più erogare le pensioni complementari ai 12 milioni di persone che dovrebbero riceverle.

La Corte dei conti, il comitato pubblico di sorveglianza e il Medef (la Confindustria francese) indicano come unica soluzione un innalzamento di due anni dell’età alla quale si matura il diritto alla pensione completa, dagli attuali 62 a 64 anni. Ma questo significa toccare un altro tabù della sinistra, oltre a quelli che già sta cercando di far cadere Macron.

In assenza di accordo dovrebbe essere lo Stato a subentrare e decidere. Decisione difficile, a maggior ragione dopo due riforme (nel 2010 e nel 2013, che non hanno evidentemente risolto il problema), dovendo già far digerire le liberalizzazioni volute dal ministro dell’Economia e in un anno ricco di scadenze elettorali.

A fine marzo si voterà per le province. E i primi sondaggi sono disastrosi, per la maggioranza: il Front National di Marine Le Pen sarebbe infatti in testa con il 28%, con l’Ump di Nicolas Sarkozy al 25% e i socialisti (che passerebbero dai 61 dipartimenti di oggi, su 101, a 15-20) al 17 per cento.

A dicembre ci saranno invece le regionali, con un altro bagno di sangue annunciato per il Ps (che potrebbe passare dalle attuali 21 regioni su 22 a 3 su 13) e la possibilità che l’estrema destra conquisti due regioni, il Nord-Pas-de-Calais-Picardie e la Provence-Alpes-Cote d’Azur). Sarà anche il momento della verifica politica della riforma territoriale, che riduce appunto da 22 a 13 il numero di regioni.

In mezzo, a giugno, ci sarà un delicatissimo congresso socialista, dove la fronda di sinistra capeggiata da Martine Aubry, “madame 35 ore”, darà battaglia.

Ecco perché pare escluso che presidente e Governo mettano altra carne al fuoco. Per quanto ve ne sarebbe urgente bisogno. Almeno per quanto riguarda il generosissimo sistema di sussidi alla disoccupazione, in rosso per 3,8 miliardi, che prevede tetti a 6.300 euro mensili, i più alti al mondo. E in generale l’intera architettura della spesa sociale: basti dire che secondo uno studio dell’Organizzazione internazionale del lavoro, il costo del welfare pubblico della Francia, la cui popolazione è l’1% di quella mondiale (e il Pil il 4%), è pari al 15% di quello dell’intero pianeta.

Sul terreno più prettamente politico, il 2015 sarà l’anno in cui Sarkozy dovrà dimostrare di essere il leader giusto per la destra. Mentre in casa socialista si giocherà la partita decisiva tra Hollande e Valls. In entrambi i casi la prospettiva è quella delle primarie del 2016, dalle quali usciranno i candidati dei due schieramenti per le presidenziali dell’anno successivo. Quelli che dovranno vedersela con la Le Pen.

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LE EMERGENZE DI PARIGI

Per evitare l’apertura di un’altra procedura per deficit eccessivo, che questa volta porterebbe a sanzioni, e ottenere il via libera allo slittamento di ulteriori due anni (al 2017) del target del deficit, la Francia deve mostrare alla Ue che intende fare sul serio sulle riforme. È possibile comunque che la Commissione chieda a Parigi uno sforzo supplementare di circa quattro miliardi in termini di riduzione della spesa pubblica.

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