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Questo articolo è stato pubblicato il 02 gennaio 2015 alle ore 16:49.
L'ultima modifica è del 02 gennaio 2015 alle ore 19:14.

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È da vedere se il Parlamento consentirà quel ritorno alla «normalità» evocata da Napolitano nel suo messaggio. O se torneremo al «grave sbandamento» del 2013. Quel che è certo è che la normalità italiana sarebbe utile in una fase che sarà eccezionale. Bce, Grecia, giudizio di Bruxelles sui nostri conti: questi appuntamenti accompagneranno il voto per il Colle.

Si comincia il 22 gennaio. Per quella data, verosimilmente, Giorgio Napolitano dovrebbe aver firmato la sua lettera di dimissioni visto che ha indicato come punto di riferimento del suo mandato il 13 gennaio, giorno della chiusura ufficiale del semestre europeo a guida italiana. E il 22 gennaio è una data clou per l'euro e soprattutto per l'Italia che continua a essere l'anello più debole nelle oscillazioni dello spread e il Paese europeo che ha vissuto una recessione pesante. Quel giorno si riunirà il board della Bce e Mario Draghi potrebbe annunciare o rinviare la decisione sul quantitative easing. Il Parlamento in seduta comune non si sarà ancora riunito: i tempi della procedura prevedono 15 giorni dalle dimissioni del capo dello Stato prima che possano cominciare le votazioni. Dunque, Draghi e il falco Jens Weidmann non avranno ancora sotto gli occhi cosa metterà in scena la politica italiana. Ed è possibile che non ci sarà un via libera sul Qe ma un rinvio a marzo per la decisione finale. A quel punto anche la situazione italiana sarà molto chiara agli occhi dell'Europa.

Il problema è anche la Grecia. Il 25 gennaio è la data delle elezioni dopo lo scioglimento del Parlamento per il fallimento proprio dell'elezione del presidente greco. Il parallelo tra Atene e Roma è già stato fatto - in automatico - da tutti gli analisti italiani, greci e internazionali. Possibile che Francoforte come Bruxelles e Berlino fermino i motori su decisioni cruciali in attesa delle prove di Grecia e Italia. Due prove differenti e che misureranno con termometri diversi la temperatura istituzionale dei due Paesi. Atene riuscirà ad avere un Governo e una maggioranza stabili, anche se la vittoria di Syriza viene data per certa? E il Parlamento italiano mostrerà una maggioranza stabile oppure ripiomberà in quello che Napolitano ha definito «grave sbandamento» post-voto 2013?
A Roma, il 25 gennaio - forse - gli accordi tra partiti sul capo dello Stato saranno ancora in alto mare anche se le votazioni dovrebbero cominciare di lì a poco, i primi di febbraio. Quel che è inderogabile è che a fine gennaio il Governo dovrà inviare a Bruxelles una prima indicazione sullo stato di attuazione delle riforme in itinere per poter incorporare gli eventuali effetti nelle stime macroeconomiche di marzo. In sostanza, Matteo Renzi dovrà inviare i compiti (i decreti fatti) a Bruxelles in attesa che a marzo la Commissione Ue decida se è sufficiente la legge di stabilità o se sarà necessaria una correzione dei conti di circa 4 miliardi.

Domanda: che peso avranno nel giudizio dell'Ue le riforme di Renzi se il voto per il Quirinale sarà nel caos? Sarà credibile il programma italiano inviato a Bruxelles – dal Jobs act alle riforme istituizionali – se la maggioranza si spappolerà o se il premier ne uscirà indebolito? Questo è il nodo che l'elezione del capo dello Stato trascina con sè. Un nodo che lega il test-Quirinale alle riforme su cui il Governo ha trattato e sta trattando con Bruxelles. Se l'Europa è attenta al Colle non è solo perchè è l'unica carica italiana con una durata certa e lunga ma perchè misurerà anche la credibilità del piano di riforme. E farà scattare o no quei 4 miliardi in più a carico dell'Italia, cioè più tagli o più tasse per gli italiani. Con la possibilità che si bruci l'effetto degli 80 euro e delle misure espansive (5,4 miliardi) della legge di stabilità.

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