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Questo articolo è stato pubblicato il 08 gennaio 2015 alle ore 12:30.
L'ultima modifica è del 08 gennaio 2015 alle ore 17:27.

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Quando, il 13 ottobre, dopo una serie di conquiste territoriali nella regione irachena di al-Anbar, le forze dell'Isis presero anche la città di Hit, la loro offensiva sembrava inarrestabile. Poco dopo diecimila dei loro uomini si spinsero oltre, posizionandosi a pochi chilometri dall'aeroporto di Baghdad. Il “pre assedio” della capitale irachena era l'ultimo successo di un’avanzata tanto travolgente quanto inattesa. In pochi mesi, dal giugno all'agosto del 2014, lo Stato Islamico era riuscito a conquistare un territorio esteso quanto la Gran Bretagna, nelle piane desertiche tra l'Iraq nordoccidentale e la Siria nordorientale. Una dopo l'altra le grandi città cadevano sotto la loro ferocia, prima fra tutte Mosul, poi Tikrit, fino a numerosi centri minori.

L’indebolimento del califfato
Da allora le cose sono cambiate. Sembra che lo Stato islamico abbia perso l'occasione per conseguire i suoi obiettivi, il suo momento favorevole.
Lungi dall'essere sconfitto, tanto meno distrutto, l'Isis si sta tuttavia indebolendo. E più che per l'offensiva della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti, che comunque ha conseguito una serie di parziali successi, il declino dello Stato islamico è avvenuto per una serie di gravi errori commessi da una leadership troppo intransigente.

Le aspettative tradite dei sunniti
Le fulminanti vittorie estive, e la creazione di quel grande Califfato, erano state possibili per due ragioni. Da un lato i motivati miliziani dell'Isis, esperti veterani in altri fronti di guerra, si erano trovati davanti un esercito iracheno disorganizzato, senza leadership, pavido. Dissoltosi come neve al sole davanti alla cieca ferocia dei jihadisti.
La seconda - e probabilmente determinante ragione - era il sostegno diretto e indiretto - di parte della popolazione sunnita irachena. Pur non condividendo la brutale ideologia dell'Isis, e ancora meno i suoi mezzi crudeli per affermare la sua autorità, molti sunniti avevano visto nell'ascesa dei jihadisti l'occasione di riscatto per porre fine ad anni di discriminazione ed emarginazione da parte del governo di Baghdad, a maggioranza sciita.
Ma una volta assicuratisi il territorio e le città, l'Isis ha tradito le aspettative delle tribù sunnite - ed anche della popolazione – che lo avevano sostenuto (seppure in diversi gradi). Di fatto, l'instaurazione del Califfato spazzava via i privilegi e le strutture di potere dei clan regionali. Lo stesso Abu Muhammad al-Adnani, portavoce dello Stato islamico era stato di una chiarezza disarmante: «La legittimità degli emirati, dei gruppi, degli stati e delle organizzazioni è diventa inesistente davanti all'espansione del Califfato», aveva dichiarato ufficialmente. Poco dopo, i vertici baathisti (quindi sunniti) che amministravano Mosul erano stati “licenziati” ed estromessi dalle loro mansioni. Cosa che ha prodotto un caos nella gestione della terza città dell'Iraq.

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