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Parigi sotto attacco, strage nella redazione del settimanale Charlie Hebdo

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i killer legati alla jihad

Parigi sotto attacco, strage nella redazione del settimanale Charlie Hebdo

PARIGI - In una Parigi sotto shock, che si accingeva a festeggiare l'inizio dei saldi e si ritrova con la polizia schierata in tutti i luoghi più a rischio della città, è in corso dalla tarda mattinata di ieri una gigantesca caccia all'uomo. Bisogna rintracciare e bloccare al più presto il commando che ha seminato la morte nella redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo, nel più sanguinoso attentato della storia recente della Francia e nel primo di questo genere a un giornale, la cui redazione è stata decimata.

La polizia ha rapidamente identificato i due killer e il loro complice, che avrebbe fatto da autista: si tratta dei fratelli Said e Cherif Kouachi, di 32 e 34 anni, e di un ragazzo di 18 anni, Hamyd Mourad. I primi due sarebbero collegati a una rete terroristica yemenita e il più giovane dei due è stato arrestato nel 2008 e condannato a tre anni per aver partecipato, a Parigi, a una filiera di reclutamento di giovani da inviare a combattere in Iraq.
I terroristi sono stati localizzati a Reims, nell'Est della Francia, dove da ieri sera è in corso un'operazione delle teste di cuoio della polizia, gli uomini del Raid, per neutralizzarli.
L'orrore è iniziato verso le 11h20 al numero 10 di rue Nicolas-Appert, una piccola traversa del Boulevard Richard-Lenoir, a due passi da piazza della Bastiglia e dal Marais. Da poco più di tre anni è quella la sede di Charlie Hebdo.

Due uomini vestiti di nero, con il viso coperto dal passamontagna, il giubbotto anti-proiettili e armati di kalashnikov entrano nell'edificio, uccidono una prima persona all'ingresso e salgono al secondo piano, dove c'è la redazione del settimanale. Il giorno non è certo scelto a caso: la mattina del mercoledì, giorno d'uscita del giornale, si svolge l'abituale riunione tra il direttore e i suoi principali collaboratori.

I due assassini fanno fuoco e ammazzano tutti: il direttore Charb e il poliziotto incaricato della sua protezione, che non ha il tempo di reagire, gli storici vignettisti della rivista Wolinski, Cabu e Tignous, l'economista Bernard Maris, che curava una rubrica firmata con lo pseudonimo Oncle Bernard.
Una sola persona riesce a salvarsi, nascondendosi sotto un tavolo. E sente chiaramente i due gridare “Allah Akbar” (Allah è grande), “Abbiamo vendicato il profeta Maometto” e “Abbiamo ucciso Charlie Hebdo”.

Una volta usciti, prima di iniziare una fuga rocambolesca e far perdere le proprie tracce nella zona Nord della città, uccidono a sangue freddo, una vera e propria esecuzione con un colpo in testa, un altro poliziotto. Alla fine i morti sono 12, tra cui otto giornalisti, e i feriti 11, quattro dei quali gravissimi.
Due video mostrano quanto è avvenuto all'esterno dell'edificio e testimoniano la calma tipica dei professionisti della morte, ottimamente addestrati.

Mentre la polizia blinda l'intero quartiere, il premier annuncia l'innalzamento del piano di sicurezza, 500 poliziotti di rinforzo, la costituzione di una cellula di crisi interministeriale. E inizia appunto la caccia agli autori del massacro.
Lo shock è enorme. Per l'ampiezza della carneficina, per le sue modalità e per l'obiettivo. Charlie Hebdo è un simbolo della libertà d'espressione e della lotta agli oscurantismi religiosi. E ormai da molti anni è nel mirino dell'estremismo islamico.

Dal 2006, quando pubblicò le famose 12 caricature di Maometto, e ancor più dal novembre 2011, quando uscì con un numero la cui testata era stata modificata in Charia Hebdo. Ecco perché molti si chiedono se la sua sede non dovesse essere più protetta di quanto non fosse.
Ma c'è un'altra domanda che aspetta una risposta rapida, quella che dovrebbe appunto arrivare con la cattura degli attentatori: si tratta di un altro episodio isolato (dopo quello del 2012 a Tolosda di Mohamed Merah e gli attacchi un po' sconclusionati di dicembre alla polizia) oppure dell'apertura delle ostilità da parte delle organizzazioni terroristiche islamiche in Francia?

La professionalità dei due uomini in nero e il fatto che non si trattasse di un attacco suicida potrebbero far propendere per la seconda, terribile ipotesi: l'inizio di una guerra in casa, prolungamento di quelle che Parigi conduce in Iraq e nel Mali. In attesa di avere questa risposta, il presidente François Hollande è intervenuto ieri sera in televisione con l'annuncio di una giornata di lutto nazionale, oggi, e un solenne messaggio al Paese perché si unisca nella battaglia contro l'oscurantismo in difesa dei valori di libertà, quelli dei “nostri eroi” di Charlie Hebdo. “La Francia – ha detto Hollande – è stata colpita al cuore. Ma la libertà sarà sempre più forte della barbarie e niente ci farà indietreggiare”.

Intanto la Francia ha immediatamente reagito. A Parigi, Lione, Tolosa e molte altre città francesi, decine di migliaia di persone, forse più di 100mila, sono scese spontaneamente in piazza inalberando cartelli con la scritta “Je suis Charlie” (sono Charlie) e delle matite in mano. Ecco, questa è la risposta migliore, il messaggio che deve essere mandato e che oggi verrà rilanciato da tutti i giornali: siamo tutti Charlie e siamo tutti pronti a usare le matite contro i fucili.