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Questo articolo è stato pubblicato il 10 gennaio 2015 alle ore 18:28.
Il caso Uemura si è intersecato con la crisi del suo ex giornale, l'Asahi Shimbun, che nell'agosto scorso si è cosparso il capo di cenere e ha riconosciuto che alcuni articoli pubblicati negli anni '80 e all'inizio degli anni ‘90 sul tema delle donne-conforto non erano basate su fatti (in particolare, la testimonianza di un ex soldato, Seiji Yoshida, che affermava di aver personalmente partecipato al rapimento di donne coreane per obbligarle a prostituirsi). Gli articoli di Uemura non sono stati ritrattati, ma la destra si è scatenata contro il giornale “liberal”, accusandolo di aver provocato una risalente ammissione ufficiale del governo sulla questione (di recente messa in discussione dall'esecutivo Abe). L'autoflagellazione dell'Asahi è arrivata a cambiare il direttore e altri dirigenti, anche in seguito al contemporaneo riconoscimento di errori nel riportare il contenuto di alcuni interrogatori del responsabile della centrale nucleare di Fukushima Daiichi. Lo stesso premier Abe a ottobre ha calcato la mano, in audizione parlamentare, affermando che l'Asahi ha danneggiato l'immagine del Paese e fatto soffrire ingiustamente molte persone. In molti Paesi del mondo, pare incomprensibile la negazione del fatto, riscontrabile da molte fonti diverse da quella ritrattata dall'Asahi, secondo cui i militari nipponici abbiano usato la mano pesante nel reclutare donne per i bordelli. Ma per la destra giapponese, quelle decine di migliaia di donne asiatiche erano tutte entusiaste volontarie per una pratica diffusa in tutti gli eserciti dell'epoca (come testimonia ad esempio il film di Valerio Zampini “Le soldatesse” sul corpo di spedizione italiano nei Balcani).
IL CASO “UNBROKEN”. Guai, insomma, a toccare l'esercito imperiale. Così non stupiscono le minacce e raccolte di firme contro l'uscita in Giappone del film di Angelina Jolie “Unbroken”, che racconta la vicenda di Louis Zamperini, dalle Olimpiadi all'internamento in un campo di prigionia giapponese dove la violenza era la regola. Il film sarà nelle sale italiane da fine gennaio ed è stato presentato in Vaticano dalla stessa regista, che ha incontrato il Papa. Non è chiaro se ci sarà un circuito giapponese abbastanza coraggioso da ignorare le minacce e proiettare il film. C'è anche un precedente recente di intimidazioni al cinema: riguarda il film-documentario “The Cove” sulla cruenta caccia ai delfini in Giappone. Per la destra nazionalista, cacciare delfini e balene fa parte dell'identità nazionale e gli stranieri non devono permettersi di criticare. Certo, dopo il caso degli attacchi hacker alla Sony per il film “The Interview” sull'attuale dittatore nordcoreano e il suo assassinio, sarebbe il colmo che, per minacce di attentati, non dovessero trovarsi sale cinematografiche in Giappone disposte a proiettare un film su campi di prigionia di oltre 70 anni fa, basato sui racconti dello stesso Zamperini (deceduto di recente a 97 anni).
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