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Ecco come Al-Qaeda ha addestrato e globalizzato la jihad dallo Yemen

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l’inchiesta

Ecco come Al-Qaeda ha addestrato e globalizzato la jihad dallo Yemen

L’imam Anwar Al-Awlaki (Epa)
L’imam Anwar Al-Awlaki (Epa)

Dove comincia la “Yemen Connection” con Al-Qaeda che ha sconvolto la Francia facendo risorgere il fantasma di Bin Laden? «Ventitré milioni di abitanti e 23 milioni di fucili: questo è lo Yemen», mi disse con preoccupazione il presidente Saleh prima di essere detronizzato nel 2012.

Oggi lo Yemen come Stato non esiste quasi più, non ha un esercito, soltanto milizie tribali, che si combattono tra loro, e Al-Qaeda. Ma non si arrende: a migliaia sono andati in piazza a protestare contro l’ultimo attentato che ha fatto 40 morti nello stesso giorno in cui i fratelli Kouachi colpivano Parigi.

Tra le fantasmagoriche architetture di palazzi medioevali svettanti come grattacieli che sembrano galleggiare su un labirinto di vie e suq millenari, qui un bambino su dieci per la denutrizione non arriva ai cinque anni, il 50% vive con meno di due dollari al giorno e si rumina incessantemente il qat, l’erba euforizzante, per non sentire i morsi della fame.

Questa terra intrisa di fascino e disperazione è la centrale di Al-Qaeda nella Penisola Arabica (Aqap) che ha rivendicato l’attacco contro Charlie Hebdo di cui soltanto 24 ore prima aveva reclamato la responsabilità il portavoce del Califfato a Mosul.

Anche i terroristi della Jihad si fanno concorrenza ed è una rivalità sanguinosa.

«Dite ai media che quest’azione è di Al Qaeda nello Yemen e che ci ha finanziato l’emiro Anwar al Awlaki», avrebbero affermato i fratelli Kouachi: ieri uno dei leader dell’Aqap, Harat Al Nazari, ha messo il marchio di Al-Qaeda sull’attentato, 13 anni e mezzo dopo il fatale 11 settembre 2001 di New York.

La Yemen Connection è un’antologia degli errori che fanno nascere il terrorismo jihadista. Al-Qaeda si è inserita perfettamente nella crisi statuale dello Yemen perché qui vantava da tempo una presenza importante. Lo stesso Saleh negli anni Novanta si era servito di Al-Qaeda per reprimere i ricorrenti tentativi di secessione del Sud e aveva utilizzato elementi del radicalismo islamico sunnita per contrapporli alla rivolta sciita degli Houti nel Nord. Dopo l’11 settembre Saleh si è schierato con gli Usa ma la battaglia contro al-Qaeda fu a lungo ambigua ed esitante. Nel 2006 l’episodio chiave: l’evasione dalle carceri di Sanaa di 23 membri di Al-Qaeda, tra i quali Nasser al Wahayshi, uno dei più stretti collaboratori di Osama bin Laden, che nel gennaio del 2009 annunciò la fondazione di “Al Qaeda nella Penisola arabica”. Con lui si allearono una pattuglia di ex detenuti di Guantanamo.

L’ascesa di Al-Qaeda è stata favorita dalla presenza di diversi imam sunniti simpatizzanti di Bin Laden perché lo Yemen presenta innegabili vantaggi strategici: la vicinanza con l’Arabia Saudita, come dimostrò il tentativo di uccidere il principe saudita Mohammed bin Naif, e quella con la Somalia degli integralisti Shabab.

Ma soprattutto la rete di Bin Laden, prima che iniziasse la guerra dei droni americani, qui ha potuto manovrare liberamente, come in Afghanistan e Pakistan, nei santuari delle tribù. Protetta dai deserti e dalle catene dell’Hadramaut, Al-Qaeda si è sentita così al sicuro da spingersi a proclamare un Emirato, insediando i suoi campi di addestramento dove sarebbe passato Said, il maggiore di fratelli Kouachi. In uno di questi, forse a Shabwa, Said incontra nel 2011 Anwar Al Awlaki, imam di cittadinanza americana, che verrà eliminato proprio quell’anno dall’incursione di un drone Usa. L’obiettivo di Awlaki è portare la jihad in Occidente e colpire gli infedeli: convince il maggiore Malik Hassan a uccidere 13 suoi commilitoni nella base di Fort Knox e crea una sorta di internazionale di terroristi pescando anche tra i jihadisti europei che seguono in Yemen le lezioni degli Imam salafiti.

Questa globalizzazione della Jihad risponde agli ideali originali di Al Qaeda e costituisce una delle differenze ideologiche e operative con il Califfato proclamato tra Siria e Iraq. Le due organizzazioni sono arrivate allo scontro in Siria dove l’attuale capo di Al-Qaeda Ayman al Zawahiri, braccio destro egiziano di Osama, ha rifiutato la proposta di fusione tra l’Isis e la filiale locale di Al-Qaeda, Jabat al-Nusra.

La principale differenza è che mentre il Califfato ha puntato a conquiste territoriali e a formare uno stato islamico strutturato, Al-Qaeda ha perseguito principalmente obiettivi globali, considerando legittima la lotta contro cristiani ed ebrei accusati di cospirare contro i musulmani in tutto il mondo. L’altro concetto ideologico importante di Al-Qaeda è quello di tafkir, l’idea che possa essere accusato di apostasia qualsiasi fedele islamico che non rispetta i dettami della sharia, per giustificare in questo modo anche la guerra contro i leader mediorientali.

Le filiali regionali di Al Qaeda, in Arabia, nel Maghreb, e gli altri gruppi che hanno agito con il suo “franchising”, sono sorti dalla sconfitta in Afghanistan, dalla guerra al terrorismo e si sono rafforzati dopo l’uccisione del capo carismatico Osama nel 2011 ad Abbottabad. Il suo successore Al Zawahiri è stato il manager che ha fatto galleggiare Al-Qaeda ma non è stato capace di rilanciarla: Parigi, in questo senso, vorrebbe rappresentare la rivincita sull’Isis, assai più abile a sfruttare i successi sul campo, nella propaganda e capace di surclassare Al-Qaeda nello sfruttamento dei media, del web e dei social network.

Al-Qaeda non era morta come si poteva frettolosamente pensare ma la competizione con il Califfato fa temere che la minaccia per l’Occidente possa aumentare proprio da questa concorrenza spietata tra emiri e califfi del terrore.

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