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Il senso della storia

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libertà e paura

Il senso della storia

Che senso ha la mia vita? È la domanda che mi hai fatto, dando voce così all’inquietudine più profonda del Tuo cuore. È una domanda importante e sono contento che Tu me l’abbia fatta, perché questo vuol dire che sei una persona che si mette in gioco nel cercare la verità e che nel tuo intimo credi alla dignità della vita che ci è stata donata. È vero che non tutti sembrano farsi questa domanda, anche se sono convinto che in ciascuno essa sia presente come un tarlo nascosto, un desiderio incancellabile, che resta tale anche quando non è espresso. Se mi chiedi il perché di questa mia convinzione non esito a risponderti che interrogarci sul senso di ciò che scegliamo e facciamo ci aiuta a essere più ricchi di umanità, motivati e aperti alla felicità, di cui abbiamo bisogno come dell’aria che respiriamo. Dare senso alla vita è consentire alla nostra anima di respirare, e il respiro dell’anima è ciò che ci fa vivere veramente.

Il senso della vita non è insomma qualcosa d’irrilevante: chi pensa di farne a meno, si accorgerà presto che i suoi atti sono come frammenti senza comunicazione fra loro, e la somma dei suoi giorni gli apparirà prima o poi come un peso faticoso a portarsi. Quando invece ti svegli al mattino e hai uno scopo per vivere, tutto risulta diverso e perfino la fatica del quotidiano diventa sostenibile o addirittura bella e degna di essere affrontata. Se poi rifletti su questo scopo, ti accorgerai facilmente che esso non è mai semplicemente qualcosa: non si può vivere unicamente per l’avere, il piacere o il potere. Anche se attraenti, il fascino delle cose, l’uso gratificante e il dominio di esse passano presto, lasciando una percezione di vuoto nell’anima.

L’articolo in pagina è un’anticipazione dell’ultimo libro di Bruno Forte, “Lettere dalla collina. Sulla fede e l’esperienza di Dio”, in uscita da Mondadori Libri nella Collezione Saggi. Con tono colloquiale, proprio del genere epistolare, vengono affrontate domande fondamentali, che anche i recenti fatti di Parigi hanno risvegliato, quali quelle sul dolore, sul male e sul senso della vita e della storia. A dare senso alla vita non è mai solo qualcosa, è piuttosto qualcuno. Un antico proverbio lo dice in maniera incisiva: “Si può vivere senza sapere perché, ma non si può vivere senza sapere per chi!”.

È per questo che il senso della vita si trova unicamente nell'amore: chi ama, ha qualcuno per cui vivere, lottare e sperare, ha un motivo sufficiente per affrontare e offrire sacrifici, uno scopo che dà gioia al cuore per il solo fatto di esserci. Chi ama, va incontro alla fatica dei giorni con una ragione di vita e di speranza più forte del prezzo da pagare, del sudore e delle lacrime da versare. L'amore è la gioia della vita e un’esistenza senza amore è semplicemente triste e vuota. Se ami qualcuno, e se il tuo amore è ricambiato, la tua gioia può toccare momenti intensissimi, di cui neanche le prove più grandi riescono a cancellare l’attesa e il ricordo. Per la stessa ragione, l'amore non amato, quello cioè cui non è dato di essere ricambiato nella reciprocità delle coscienze, può dare sì senso alla vita, ma fa conoscere anche il dolore più profondo e porta a volte ad attraversare le tenebre più fitte. Soprattutto, l’amore non perdona alla morte, non si arrende all’annullarsi della possibilità della visibile presenza dell’amato e sente la fine inesorabile, legata all’ultimo silenzio, come intollerabile ferita, insopportabile limite.

È proprio sulla soglia della fragilità e della caducità di ogni amore umano, anche del più grande, che il nostro cuore percepisce il bisogno di un orizzonte ulteriore, che sia custodia all’amore e lo salvi con vincoli d’eternità. Il senso della vita non può fermarsi a ciò che è mortale e penultimo, per quanto forte sia il legame che ad esso ci unisce: la vita ha senso se la meta e la patria per cui si vive, si soffre e si ama, ha la misteriosa potenza di vincere la morte, di dare alla nostalgia del cuore inquieto un approdo di eternità. È qui che nella ricerca del senso due amori si toccano: quello alla scena del mondo che passa, e quello a Colui che è in persona l’amore più forte della morte, origine, grembo e patria di ogni vero amore. La ricerca del senso sfocia così, con naturale continuità, nella ricerca di Dio e del Suo volto, nel desiderio e nella nostalgia del Totalmente Altro, che garantisca la vittoria ultima dell’amore sulla morte, della vita sul nulla.

Sui sentieri della ricerca del senso da dare alle opere e ai giorni, come luce del cuore e forza del cammino, si passa inevitabilmente dalle cose alle persone da amare, e da queste all’inizio e alla sorgente di ogni amore, meta e destino di ogni vincolo d’amore che dia sapore alla vita. Ai cercatori del significato, che renda degna e bella l’esistenza, anche a quelli che hanno conosciuto la delusione di approdi troppo corti e troppo brevi, cercatori del senso perduto, l’incontro con l’amore personale di Dio, mistero del mondo, si offre come libertà donata: libertà dalla paura e dal dolore del non senso; dono non meritato né prodotto dalle nostre mani, offerta di gratuità che viene a noi, ci sorprende e illumina tutti gli spazi dell'anima a condizione di aprire la porta del nostro cuore. È quanto ci assicura la parola della promessa: “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20).

Sono illuminanti le parole di John Henry Newman, appassionato cercatore della verità, cui è stato dato di approdare al porto tanto desiderato. È il 1833 e, sulla nave che lo porta dalla Sicilia a Napoli nel suo primo viaggio in Italia, la nebbia che scorge gli appare come un'immagine della condizione umana, figura di chi nella scarsa visibilità dell'orizzonte cerca un senso alla vita: “Guidami Tu, Luce gentile, attraverso il buio che mi circonda, guidami Tu! La notte è oscura e sono lontano da casa, guidami Tu! Sostieni i miei piedi vacillanti: io non chiedo di vedere l’orizzonte lontano, un solo passo è sufficiente per me. Non sempre fu così, né io pregavo affinché Tu mi guidassi. Amavo scegliere e scrutare il mio cammino; ma ora sii Tu a guidarmi! Amavo il giorno abbagliante, e malgrado la paura il mio cuore era schiavo dell’orgoglio; non ricordare gli anni passati. Così a lungo la tua forza mi ha benedetto, e certo mi guiderà ancora, oltre brughiere e paludi, oltre rupi e torrenti, finché sia passata la notte; e con l’apparire del mattino mi sorrideranno quei volti angelici, che da tanto ho amato e che rischiavo di aver perduto”.

Bruno Forte è Arcivescovo di Chieti-Vasto