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Questo articolo è stato pubblicato il 22 gennaio 2015 alle ore 08:52.
L'ultima modifica è del 22 gennaio 2015 alle ore 10:54.

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L’idea era contenuta in una lettera inviata nei giorni scorsi da Vladimir Putin a Petro Poroshenko, presidente dell’Ucraina. E su questa i ministri degli Esteri di Russia e Ucraina, riuniti a Berlino mercoledì sera insieme ai colleghi di Francia e Germania, hanno trovato un accordo. Un primo segnale positivo dopo troppo tempo, e dopo che a Donetsk, nell’Est dell’Ucraina, la tregua in questi giorni aveva lasciato il posto al ritorno di una guerra vera e propria.

A Berlino Ucraina e Russia hanno raggiunto un accordo affinché sia le forze di Kiev sia i ribelli filorussi ritirino gli armamenti pesanti al di là di una linea di demarcazione, e perché tra i combattenti separatisti e le forze di Kiev vengano stabilite delle “zone di sicurezza”. Lo ha detto il ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, parlando di «progressi sensibili»: in una nota congiunta divulgata dal suo ministero i ministri «fanno appello a tutte le parti coinvolte a troncare le ostilità», e a deporre le armi in linea con gli accordi di Minsk del settembre scorso.

La ripresa degli scontri, concentrati sul controllo dell’aeroporto di Donetsk ma arrivati ormai a lambire di nuovo il centro della città, non aveva alimentato le speranze intorno all’incontro di Berlino: avvenuto tra l’altro al posto di un vertice in programma ad Astana il 15 gennaio scorso, al quale avrebbero dovuto partecipare Putin, Poroshenko, Angela Merkel e François Hollande. La mancanza di prospettive aveva suggerito di rinviarlo, e anche ieri il cancelliere tedesco aveva lasciato capire di non attendersi troppo dall’incontro. «È chiaro che il cessate il fuoco è sempre più fragile», aveva detto Angela Merkel.

Ormai non aveva neppure più neanche la parvenza di tregua: e ora l’accordo di Berlino dovrà essere messo alla prova dei fatti, soprattutto perché la Russia sostiene di negoziare come mediatrice, e non come parte direttamente coinvolta nel conflitto. Al World Economic Forum di Davos, proprio ieri Poroshenko aveva dichiarato che sono addirittura 9.000 i militari russi impegnati a combattere sul territorio ucraino, e ne aveva chiesto il ritiro.

Intanto, gli scontri continuano. Almeno tredici persone sono morte e decine sono rimaste ferite in seguito ad una serie di presunti colpi di mortaio che hanno centrato la fermata di un tram nel quartiere Leninski di Donetsk, roccaforte dei separatisti filorussi. Lo riferiscono i media russi e quelli dei ribelli.

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