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Attacco dei jihadisti al cuore della Libia

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i giacimenti petroliferi unica risorsa del paese

Attacco dei jihadisti al cuore della Libia

Dopo il clamoroso attacco del 27 gennaio contro il Corinthia Hotel, l'albergo fortezza di Tripoli dove vengono ospitate le delegazioni straniere e quelle governative, colpire un giacimento petrolifero gestito da una grande major occidentale era l'ultimo grande colpo che i jihadisti libici attendevano di portare a termine. Anshar al Sharia, il gruppo estremista libico alleatosi lo scorso ottobre con lo Stato islamico di Siria e Iraq, lo ha fatto rispettando i macabri e cruenti rituali dei suoi alleati mediorientali: entrati nel compound avrebbero ucciso 13 persone,otto libici, tre filippini, e due ghanesi. Una giustiziata a colpi di arma da fuco a distanza ravvicinata, tutte le altre - secondo le prime ricostruzioni delle forze libiche - barbaramente decapitate. I miliziani avrebbero poi annunciato di aver catturato un tecnico francese, notizia tuttavia smentita dalla Total.

Negli ultimi due anni altre milizie avevano a lungo bloccato terminali e giacimenti. Ma questa volta si tratta della costola libica dell'Isis. Ecco perché l'attacco assume un alto valore simbolico. E ancora una volta - se ce ne fosse bisogno - mette in luce una cruda realtà: nessun luogo dell'ex regno di Muammar Gheddafi, neanche quelli blindati, è ormai al sicuro. E lo sarà sempre meno. Perché sta venendo a galla un'altra inquietante verità: le rivalità tra i due Governi che si contendono la sovranità del Paese, ingaggiando in alcuni periodi violenti scontri, sta spianando la strada all'ascesa dei gruppi jihadisti.

Dopo aver creato un Califfato islamico nella città orientale di Derna, di fronte alle coste greche e italiane, i jihadisti libici si sono insediati con piccole cellule anche in importanti città portuali della lunga costa libica , tra cui Sirte, il maggior centro della regione di al Jafra, dove è avvenuto l'attentato.

Colpire un giacimento significa infliggere un danno -psicologico ed economico - all'unica ricchezza della Libia.

Da tempo la produzione arranca. Siamo a circa un quinto dei livelli precedenti la rivolta, quando dai pozzi di un Paese di soli sei milioni di abitanti, venivano estratti ogni giorni 1,6 milioni di barili. Il giacimento di al Mabrook si trova a sud di Sirte, ed è gestito dalla francese Total insieme alla compagnia petrolifera nazionale della Libia (Noc). Sembra che le operazioni fossero già state fermate a fine dicembre, dopo gli scontri che avevano portato alla chiusura del porto petrolifero di Es Sider. Le forze libiche avrebbero poi ripreso il controllo del sito.

Pur consapevoli dei rischi, diverse major petrolifere hanno tuttavia deciso di rimanere in Libia. Me le imponenti misure di sicurezza, rafforzate con cadenza quasi mensile, non sembrano sempre sufficienti davanti al fanatismo di gruppi jihadisti sempre più armati e decisi a fare sprofondare la Libia nel caos.

Total, ha smentito le notizie sul sequestro. Aggiungendo di avere già ritirato tutto il suo staff dal sito. E questo è già un campanello di allarme.

Il petrolio è la sola ricchezza nazionale di un Paese ormai in balia del caos e dell'anarchia. Senza greggio il Governo, in “esilio” a Tobruk, vicino all'Egitto, e riconosciuto dalla Comunità internazionale, non è in grado di pagare i salari di un esercito di funzionari pubblici, né quelli delle milizie alleate e delle sue improvvisate forze armate. Il barile serve a tutto: a finanziare un costosissimo budget, che abbonda di sussidi per placare il malcontento popolare, la cui unica voce è però il greggio.

Perché in Libia il petrolio è tutto; il 95% dell'export in valore e la grandissima parte delle entrate statali. L’Isis lo sa bene. Attaccando i giacimenti petroliferi attacca l'unica risorsa di cui può fare affidamento non solo il Governo riconosciuto dalla comunità internazionale ma anche il Governo ombra creato dagli islamisti a Tripoli lo scorso agosto, dopo la conquista della capitale. Entrambi sanno bene che se le compagnie petrolifere straniere decidessero in massa di chiudere i battenti, la Libia resterebbe in balia di se stessa. Condannata a un destino di Stato fallito. Una Somalia, oppure una Siria sulla Costa sud del Mediterraneo dove, approfittando del vuoto di potere l'Isis avrebbe vita facile. Dove quel finora piccola Califfato alle porte dell'Europa potrebbe far sempre più paura.

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