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Garzanti, l'editore delle sorprese essenziali

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ADDIO. 1921-2015

Garzanti, l'editore delle sorprese essenziali

Livio Garzanti (1921-2015), romagnolo d'origine e milanese di adozione, tra i protagonisti dell'editoria italiana della seconda metà del Novecento, è stato il più singolare, spesso sorprendente e «scandalosamente fortunato», per sua stessa ammissione. A differenza dei suoi rivali, come Mondadori e Rizzoli, era nato ricco ed era laureato in Filosofia. A differenza dei suoi rivali, avvezzi all'arte della seduzione, sapeva catturare gli autori con il piglio della franchezza anche un po' rude. Era figlio d'arte, essendo subentrato al padre Aldo, che nel 1936 aveva rilevato le Edizioni Treves, subito ribattezzate con il nome di famiglia; un padre, a sua volta, molto autoritario, «un'edizione molto aristocratica di Mussolini», che non gli aveva propriamente spianato la strada.

Una volta alle redini della casa editrice, nei primi anni 50, incontra Attilio Bertolucci, che allora lavorava con Guanda a Parma e che diverrà il suo principale collaboratore, oltre che amico, tra i rari, nonostante occasionali, quanto inevitabili, divergenze e screzi. Formidabile il decennio di esordio editoriale per Garzanti, con la pubblicazione di Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita (1955), Carlo Emilio Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (1957), e Paolo Volponi, Memoriale (1962). A partire da quel momento la Garzanti diventa un polo di attrazione per ogni scrittore esordiente, e non solo: c'era una linea tipicamente garzantiana alla quale si aggregarono, tra gli altri, Goffredo Parise, Italo Calvino e Claudio Magris. Tra gli stranieri spiccava Truman Capote, che aveva già esordito nel '48 con lo scandaloso, allora, Altre voci, altre stanze.

Ma anche il fenomenale, commercialmente parlando, Love story (1970) di Erich Segal, che tutti gli editori italiani avrebbero voluto.
La fama e la fortuna della Garzanti non sono però legate soltanto alla letteratura. Ci fu una stagione, dalla metà degli anni 60, in cui Livio seppe imprimere uno sviluppo crescente al settore delle grandi opere, della scolastica e della linguistica, a partire dalla Storia della letteratura italiana di Emilio Cecchi e Natalino Sapegno, alla Storia del pensiero filosofico di Ludovico Geymonat, alla Storia del mondo antico e moderno di Cambridge, fino alla Enciclopedia Garzanti che alimentava una fiorente rete della vendita rateale. Preziose e insostituibili rimangono ancora le Garzantine, piccole enciclopedie tematiche, emanazione diretta dell'editore: «Rileggevo le voci e sovente consigliavo dove e come ridurre, arrivando all'essenziale».

Come un signore del Rinascimento, Garzanti avverte il bisogno di illustrare la storia della sua impresa e, sul finire degli anni 80, chiama Tullio Pericoli che affresca una stanza della sede storica in via Spiga, con le immagini salienti, evocative come una narrazione. Dal 2005, dopo la scomparsa di Gina Lagorio, Livio si era ritirato a vita privata; nel 1995 aveva venduto l'azienda a Utet e Messaggerie Italiane. Ora la sua vecchia casa editrice fa parte del gruppo Mauri-Spagnol. Nonostante la non facile convivenza, molti suoi collaboratori hanno saputo trarre vantaggio dall'aver lavorato con lui, pronti per altre prestigiose esperienze professionali, come Teresa Cremisi, Piero Gelli e Gianandrea Piccioli.

C'è una traccia letteraria, per comprendere, sia pure in chiave satirico-grottesca, il tipo di rapporto che poteva intercorrere in una casa editrice dell'epoca tra il capo e il dipendente, una traccia insignita del Premio Viareggio 1965, ed è Il Padrone di Goffredo Parise pubblicato da Feltrinelli, di cui Livio Garzanti ebbe a dire: «Parise veniva sovente a pranzo da me per poi scrivere male di me».

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