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La cordata araba contro il Califfato

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Medio Oriente

La cordata araba contro il Califfato

  • –Karima Moual

L’avanzata dei jihadisti libici procede velocemente e un altro Stato nel sud del Mediterraneo - proprio alle nostre porte - si sta sbriciolando sotto i nostri occhi in nome dello Stato islamico del califfo Al Baghdadi, che ormai giorno per giorno ci lancia una sfida sempre più concreta. Come rispondere? Fino ad oggi, la risposta è stata quella del dialogo, nel caso specifico della Libia con l’iniziativa Onu. Ma è chiaro che quello fatto sinora non basta. E le parole del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, che annuncia un possibile intervento italiano in Libia, rispondono, costituiscono un approccio realistico e concreto: «Non possiamo accettare - ha detto - che a poche ore di navigazione dall’Italia ci sia una minaccia terroristica attiva».

Una consapevolezza, questa, che è condivisa anche nel mondo arabo, che può questa volta essere un importante alleato contro l’Isis. Per questi Paesi la minaccia terroristica è diretta, all’interno spesso dei propri Stati. Solo in questa settimana in Tunisia sono state arrestate 20 persone, un gruppo di seguaci del califfato islamico, pronti ad agire, mentre in Marocco mai come in questi mesi si sono viste nuove forze militari con tanto di divisa e armi alla mano girare per il paese. La cronaca dei tg arabi, pullula di continui arresti di seguaci dell’Isis, pronti ad agire.

Per questo, un’iniziativa italiana in questa direzione non fa che corrispondere a quello che i paesi arabi si stanno già preparando a condividere. L’Egitto è il paese confinante e svolge un ruolo chiave per i risvolti del futuro della Libia. Nel Paese la comunità immigrata egiziana arrivava a un milione di persone: ne restano ancora 600mila, sono tanti, e proprio ieri sono stati invitati a lasciare la Libia. Nel conflitto in corso Al Sisi si è schierato con chiarezza a favore del Governo di Tobruk, sostenendolo tuttora militarmente e non solo. Una posizione non certo neutrale come quella che il dialogo dell’Onu ha promosso, cercando di far sedere tutti al tavolo del confronto, compresi gli islamisti. Se questa posizione dovesse cambiare, e si riuscisse a definire più chiaramente il nemico, l’Egitto in primis ma non solo, sarebbe un partner fidato. E anche attrezzato.

Il problema infatti di una cordata araba contro l’Isis è anche strutturale. Gli unici paesi che realmente dispongono di mezzi e forze terrestri per poter effettivamente riuscire in un’operazione in Libia sono l’Egitto e l’Algeria. Egitto che peraltro è stato rifornito proprio questa settimana, nella visita di Putin dopo dieci anni nel paese, di un vasto rifornimento di armamenti quali missili e aerei militari per il valore di 3 miliardi di dollari. La Francia, da parte sua, ha concesso 24 caccia Rafale al Cairo. Il tutto nel quadro della cooperazione contro il terrorismo.

Più difficile il coinvolgimento di altri Paesi. Ma il rischio Isis è ormai più che diffuso ben oltre i confini dell’Egitto. Secondo un ultimo sondaggio dell’Arab Center for Research and Policy Studies di Doha, condotti in sette Paesi arabi, l’85% degli abitanti ha una visione negativa dell’Isis, in forme e gradi diversi. Una percentuale confortante. Che l’Isis non sia solo una minaccia in Iraq e in Siria, ma per tutto il mondo arabo, da combattere ed eliminare, è ormai diventata convinzione diffusa tra leader politici, intellettuali ma anche da religiosi e persone comuni. Un cambiamento di percezione anche dopo lo shock dell’assassinio del pilota giordano. Su Asharq al Awsat, Tareq Al Hamid, precedente direttore dello stesso giornale panarabo, titolava senza mezzi termini: «Dopo Al Kasasbeh (pilota giordano), è obbligatorio un intervento via terra», un articolo in cui si spiegava come questa iniziativa dovesse essere una grande opportunità per il mondo arabo di eliminare questa forza del male. Dovevano proprio i paesi arabi esserne alla guida con l’aiuto della coalizione internazionale.

Insomma, un cambio di strategia nel conflitto contro gli islamisti dell’Isis è un’iniziativa che potrebbe avere partner arabi, più convinti e motivati alla causa che in precedenza. A cominciare dall’Egitto, che da domani, con la sua comunità immigrata fuori dalla Libia, potrebbe avere le mani più libere.

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