Commenti

L'Iran, che vuole voltare pagina, accoglie il ministro Gentiloni

  • Abbonati
  • Accedi
La missione

L'Iran, che vuole voltare pagina, accoglie il ministro Gentiloni

L'Iran non delude mai. Era entusiasta il sassofonista americano Bob Belden che si è appena esibito con il suo cool jazz in un teatro strapieno e plaudente alla presenza del ministro della Cultura islamica: Belden è il primo musicista americano a suonare a Teheran dalla rivoluzione dell'Imam Khomeini del 1979. Ha improvvisato una jam session con tre giovani musiciste iraniane, velate e bravissime. L'offensiva diplomatica iraniana è anche questa: mostrare un volto diverso della Persia e dell'Islam sciita rispetto alle chiusure del mondo sunnita.

Ma ieri si è sentita gratificata dall'Iran anche la diplomazia italiana. I giornali hanno messo in prima pagina la visita del ministro Paolo Gentiloni, oltre che le dichiarazioni ottimiste sul negoziato di Federica Mogherini, alto rappresentante europeo. Gentiloni ha incontrato il ministro degi Esteri Javad Zarif, lo speaker del Parlamento Alì Larjani, e oggi vedrà il presidente Hassan Rohani e Hashemi Rafsanjani, padrino della repubblica islamica e capo del Consiglio per il Discernimento delle Scelte.
Le sanzioni sono il cuore della questione. «Stiamo facendo di tutto ma se non tolgono le sanzioni non si fanno passi avanti: su questo punto gli esiti sono ancora inconcludenti», ha dichiarato Javad Zarif alla stampa internazionale.

«Sarebbe auspicabile - ha aggiunto Zarif- riuscire ad avere nuovi successi la prossima settimana in Svizzera e mettere da parte le sanzioni, applicate in maniera ingiusta. Dobbiamo stabilire un programma esecutivo entro marzo per arrivare a un accordo generale».
La palla, in realtà, è nel campo del presidente Barack Obama che con un Congresso ostile e fuori controllo - dove martedì parlerà il premier israeliano Benjamin Netanyahu - deve garantire a Teheran un ritorno sui mercati internazionali. La Guida Suprema Alì Khamenei vuole un'intesa: l'Iran è impegnato su tre fronti, la guerra in Iraq contro il Califfato, in Siria a sostegno di Bashar Assad e all'interno è alle prese con la crisi economica, approfondita dal crollo delle quotazioni del petrolio.

L' “asse della resistenza”, capeggiato da Teheran con Baghdad, Damasco e gli Hezbollah libanesi, è sotto stress. Ma un diplomatico straniero rileva: «Gli iraniani sono negoziatori accorti. Faranno un accordo con un presidente che ha già un piede fuori dalla Casa Bianca mentre si profila un cambio che potrebbe riportare i repubblicani al potere?».
Il caso iraniano ha riflessi rilevanti anche per noi. L'Italia per l'Iran è un Paese importante sin dai tempi di Mattei che con l'Eni qui lanciò la sfida alle Sette Sorelle del petrolio e durante la lunga guerra contro l'Iraq, negli anni 80, fu ancora l'Italia a sostenere con le sue imprese l'industria bellica della repubblica islamica.

Le sanzioni, imposte a Teheran dopo la scoperta del programma nucleare nel 2003, hanno provocato una perdita nel commercio tra Italia e Iran stimato in oltre 45 miliardi di dollari. La soluzione della questione nucleare avrebbe un impatto economico non indifferente: se non ci fossero state le sanzioni l'Ice calcola che nel triennio 2014-2016 l'Italia avrebbe potuto esportare verso l'Iran per quasi 20 miliardi di dollari.
Le imprese italiane, tallonate dalle autorità americane ma anche dagli occhiuti servizi britannici, qui lavorano quasi in silenzio, timorose di incappare in sanzioni finanziarie o nell'esclusione dai mercati occidentali. Perché a Teheran si capisce come gira il mondo.

È vero che c'è un commercio “non sanzionato” sui cui devono puntare le nostre aziende, come dice Gentiloni, ma pure in questo campo l'Italia perde quote di mercato: nel 2014 l'export della Germania verso l'Iran è cresciuto del 30%, fino a 2,4 miliardi di euro. I nostri concorrenti, appoggiati dai loro governi, per far fuori i rivali non guardano troppo per il sottile. La Francia, che ha visto l'export di auto (Renault e Peugeot) colpito dalle ultime sanzioni, per aggirare le restrizioni starebbe meditando l'acquisto del 45% delle azioni della Pars Khodro. Quanto agli Usa, il gigante dell'aviazione Boeing ha chiuso tre contratti con l'Iran per la fornitura di motori a Teheran.

Gli iraniani sanno quello che vogliono. Riprendere le relazioni con gli Stati Uniti, fare affari con l'Europa e tornare al ruolo di attori principali in Medio Oriente dove si propongono come alleati nella guerra agli orrori dello Stato Islamico: se l'accordo sul nucleare si farà cambieranno tutti i dati geopolitici della regione. Ma questo non piace né a Israele né all'Arabia Saudita, spaventata da una repubblica islamica sciita che non ha soltanto ambizioni di potenza regionale ma si propone come un'alternativa a un regno assolutista legittimato dal clero wahabita. Volontà di potenza e religione, questo è il mix esplosivo del Golfo: per disinnescarlo gli Stati della regione devono tornare alla realpolitik.

© Riproduzione riservata