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POLITICA 2.0 - ECONOMIA & SOCIETÀ

La sfida di Renzi alla minoranza e la resa di Berlusconi a Fitto in vista delle regionali

C’è chi strappa in nome della legge elettorale e chi ricuce in nome delle regionali. Renzi si sente sicuro dei numeri in Aula mentre Berlusconi non sta sereno sulle percentuali di Forza Italia e sul rischio di scendere sotto la soglia del 10 per cento. Un rischio che l’ha costretto a una resa e, ora, a Fitto concede tutto quello che avrebbe voluto negargli. La ragione sta nei numeri e solo in quelli. Le radici dello scontro, infatti, restano inalterate e sono solo rinviate. Da entrambe le parti.
Domanda: dov’è che Forza Italia ha preso il 14% e dove il 23 per cento? Questa forchetta di quasi dieci punti è quella che separa i voti presi dal partito del Cavaliere in Veneto da quelli raccolti in Puglia alle ultime europee del maggio di un anno fa. Ed è in ragione di questo divario che Berlusconi fa l’accordo con Salvini e Zaia ma in Puglia cede al braccio di ferro con Fitto mettendo in lista tutti i nomi del “ricostruttore”. Dunque, Maria Rosaria Rossi - e il suo potere sulle liste - si ferma dove Forza Italia rischia l’osso del collo. Perdere voti anche in Puglia, con la diaspora dei fittiani, vorrebbe dire rinunciare a quei numeri che tengono su la media del partito che alle europee è arrivato al 16,8% proprio grazie al Sud.

Puglia e Campania sono il “granaio” del Cavaliere che può resistere all’assalto post-regionali solo se riesce ad aggrapparsi alle due cifre. Non le troverà nelle regioni rosse e forse neppure in Veneto ma solo lì, tra Fitto e Caldoro. Inoltre, la fine del patto del Nazareno non sta portando alcun vantaggio a Berlusconi in termini di sondaggi. Zero consensi in aumento, zero ripresa di popolarità. È anche questa la ragione per cui il Cavaliere deve fare marcia indietro con Fitto e cedere alle sue richieste sapendo che non si tratta nemmeno di una tregua ma di una ricucitura fatta a uso e consumo delle urne. Il dopo si vedrà.
Dall’altra parte, l’altro contraente del patto del Nazareno non vuole proprio saperne di ricucire sull’Italicum e respinge anche il tentativo di quella parte della minoranza Pd più conciliante che vuole differenziarsi da Bersani e dagli ultrà dello scontro. È chiaro che lui e i suoi hanno calcolato che non ci sono troppi rischi nel passaggio alla Camera e che alla fine i numeri nell’Aula di Montecitorio si troveranno. Sembra infatti che quella minoranza più conciliante, tra cui c’è il capogruppo Speranza, abbia deciso di votare “no” nell’assemblea dei deputati Pd ma voglia adeguarsi, poi, nelle votazioni finali. E sembra anche che una parte di Forza Italia, i principali indiziati sono i verdiniani, daranno i loro voti all’Italicum.

Ma la mossa più spiazzante è l’aver scelto come relatore del testo Gennaro Migliore, ex Sel, passato da poco con il Pd di Renzi. Una mossa tutta politica che segnala come le nuove contaminazioni nel Pd renziano comincino a trovare uno spazio e una visibilità al di là del “giglio magico”. Si dice pure che domani sarà scelto un non-toscano per entrare nella squadra di Palazzo Chigi in quello che è stato il posto di Graziano Delrio. Era quello che mancava al leader Pd che ha fatto la sua Opa al partito e al Governo contando su un gruppetto di fedelissimi mentre ora concede fiducia anche a chi non ha condiviso la scalata al potere. Vedremo se davvero comincia la fase delle annessioni dopo quella della ascesa dei collaboratori. Ma la scelta di Migliore è fatta anche per non lasciare che la minoranza Pd faccia del “no” all’Italicum una battaglia di sinistra vista la provenienza dalle fila di Sel del neo relatore.