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La realpolitik del pallone

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analisi

La realpolitik del pallone

Solo la teoria della cospirazione potrebbe far pensare che usando l’inchiesta sulla Fifa gli americani vogliano far naufragare il Mondiale di calcio di Putin, come l’Ucraina aveva messo in difficoltà le sue Olimpiadi invernali, l’anno scorso. Continua pagina 27

Lo stesso sospetto varrebbe per il Qatar. Quando aveva avuto la nomination 2022, l’intero mondo arabo aveva gioito per la sua prima coppa di calcio, anche lì lo sport più popolare: oggi il Qatar che sostiene i Fratelli musulmani, è il più detestato dei paesi arabi e detestato dagli stessi arabi.

Ma il mondo è pieno di chi costruisce e crede alle teorie cospirative. E se non è un complotto, obiettivamente è uno scherzo del destino che dei giudici americani abbiano avviato un’inchiesta sulla Fifa il cui primo risultato sarà di far saltare in Russia un mondiale di calcio: una manifestazione sulla quale, come tutti gli autocrati vecchi e nuovi, Vladimir Putin conta molto per la sua immagine e quella del suo neoimperialismo.

Forse è per questo - per evitare lo sconfinamento del calcio nello scontro sull’Ucraina, nelle diversità di opinione sul regime siriano, nella concorrenza sul mercato mondiale delle armi e su quello promettente della Cina –che i giudici americani hanno passato agli svizzeri la richiesta d’interrogare il ministro russo dello Sport: uno degli eventuali corruttori. La geopolitica mondiale, compresa la trattativa sul nucleare iraniano nella quale Usa e Russia giocano dalla stessa parte, non avrebbe sopportato dei giudici di New York che mettono sotto torchio un ministro del governo di Vladimir Putin. Anche la geopolitica del pallone ha i suoi tabù.

Ma non è detto che Vladimir Putin rinunci al suo Mundial e accetti lo scherzo del destino di perderlo causa corruzione. In fondo è difficile immaginare che solo russi, qatarini e sudafricani infangando la memoria di Nelson Mandela, abbiano pagato per averlo. Che non avessero distribuito mazzette anche tutti gli altri organizzatori dei mondiali: europei, americani del Nord e del Sud, coreani e giapponesi. Come l’olimpiade, un mondiale di calcio non serve solo agli autocrati: segnala al mondo il successo di una nazione, certifica il suo passaggio dalla povertà alla ricchezza, dalla dittatura alla democrazia, dalla marginalità al peso internazionale.

Probabilmente non avrebbe voluto questa nuova tegola il giovane emiro Tamim al-Thani del Qatar, che aveva ereditato il Mundial dal padre Hamad, dalla madre sheikha Mozah -fotografati felici con la coppa d’oro il giorno dell’assegnazione, all’apice del loro presunto regno riformatore - e dal cugino Hamad presidente della federazione calcio dell’emirato. Forse oggi il giovane al-Thani considera un delitto di hubris aver preteso che un paese da 250mila abitanti vincesse un torneo di quel peso, costringendo il calcio internazionale a rivoluzionare i calendari dei suoi campionati per giocare il mondiale a Natale: mentre il Qatar è ingolfato nella guerra civile siriana e libica, e ha a che fare con il sempre più suscettibile re saudita, un lontano cugino.

L’emiro del Qatar non avrà molti arabi dalla sua parte, in difesa dei mondiali di Doha. A Putin le solidarietà importano poco: gli basta il consenso dei russi. Se l’obiettivo recondito di Sepp Blatter non era trovare facili frontiere per le mazzette della Fifa, la sua politica era giusta: allargava i confini del calcio al nuovo mondo non solo sportivo ma anche economico e politico. Sudafrica, Brasile e Russia sono tre dei cinque Brics. E prima che il mondo arabo implodesse in una catena di guerre civili, non era sbagliato offrire a uno dei suoi paesi la vetrina di un mondiale.

Ora, mentre David Cameron, sentitosi defraudato di un mondiale inglese, chiede le dimissioni di Blatter, Putin fa capire che il presidente della Fifa è un amico della Russia: dunque non c’è ragione di cacciarlo. «Dobbiamo dividere la politica dallo sport»: l’esortazione di ieri del presidente russo ricordava le bugie raccontate al mondo durante la guerra nell’Ucraina orientale. La geopolitica del pallone è già geopolitica e basta. Forse lo è sempre stata.

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