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Putin: «È un complotto americano»

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Putin: «È un complotto americano»

Tra i tanti sport che Vladimir Putin ama praticare, mettendosi volentieri in mostra mentre lo fa, al primo posto c’è l’hockey, non il calcio. Eppure, per il presidente russo non potrebbe esserci niente di peggio che perdere l’organizzazione dei Mondiali 2018. «Ci hanno dato fiducia e ce la siamo meritata - disse quel 2 dicembre 2010, saltando su un aereo per Zurigo mentre a Sochi lo aspettava Silvio Berlusconi -. Del resto, giocavamo a calcio anche durante l’assedio di Leningrado. Questo la dice lunga».

E invece no, l’assegnazione dei prossimi Mondiali alla Federazione russa non aveva tanto a che vedere con la passione di un Paese che cominciò ad affermarsi nel mondo del football solo quando già era Unione Sovietica; un Paese troppo grande per poter vivere compatto una passione che nella Serie A vede poche sparute squadre venire da oltre gli Urali, mentre nei campionati minori è costretto a dividersi geograficamente. Per Putin la Russia ospite dei Mondiali è soprattutto una superpotenza anche sportiva in cerca di prestigio e affermazioni internazionali, come lo è stata la Russia delle Olimpiadi di Sochi 2014 e come avrebbe voluto esserlo entrando nel giro dei Gran Premi di Formula 1, partiti però l’estate scorsa - sempre a Sochi - quando già era calata l’ombra della crisi ucraina, e delle sanzioni.

Sapendo di colpire Putin al cuore, il mese scorso 13 senatori americani chiesero a Sepp Blatter di revocare il diritto di Mosca a organizzare i Mondiali, punendo così la politica del Cremlino nei confronti dell’Ucraina più di qualsiasi altra sanzione, più del costo che l’isolamento imputa all’economia. Blatter rimase dalla parte di Putin: «Il calcio - disse - non è politica, è uno strumento di pace». Oggi il congresso della Fifa dovrebbe anche sciogliere, però, una questione che con la politica ha moltissimo a che vedere: il destino delle squadre della Crimea, orfane del campionato ucraino e invitate in quello russo: per ora la Uefa le ha lasciate in un limbo a sè, «territorio speciale».

Dopo la presa di posizione di Putin, a difesa di Blatter, il destino delle ambizioni calcistiche del presidente russo e quello del presidente della Fifa sembrano intrecciati. Putin non ha esitato a vedere nello scandalo l’ennesimo tentativo degli Stati Uniti di spadroneggiare nel mondo, anche là dove non ne hanno il diritto. «Non ho dubbi - ha detto -, questo è un evidente tentativo di impedire a Blatter di essere rieletto, e di estendere la giurisdizione degli Stati Uniti ad altri Paesi. Questi funzionari non sono cittadini americani, e se qualcosa è successo, non è successo in territorio americano. Gli Stati Uniti non hanno alcun legame con questo».

Una tempesta scoppiata proprio mentre Mosca e Washington avevano avviato i primi tentativi di riavviare i rapporti fatti a pezzi dalla crisi ucraina. Normalizzazione, allentamento delle sanzioni, ripresa economica: anche il sogno dei Mondiali di Russia - partito l’ottobre scorso con la proiezione del logo sulla facciata del Bolshoj e lassù, sulla Stazione Spaziale Orbitante - ha molto a che fare con tutto questo. Perché c’è tantissimo da costruire, dagli aeroporti a molti dei 12 stadi, a partire dal rinnovamento del Luzhniki di Mosca che ospiterà - la ospiterà? - la finale dell’8 luglio 2018. «In gioco - disse Putin presentando un progetto di collegamento in alta velocità tra le città russe che ospiteranno i Mondiali - c’è lo sviluppo di intere infrastrutture nella parte europea del Paese». Un budget complessivo da 13 miliardi di dollari che qualcuno teme sia destinato a gonfiarsi come a Sochi, dove progetti faraonici videro i bilanci superare i 50 miliardi. Come allora, per i Mondiali lo Zar ha chiamato a raccolta oligarchi e amici imprenditori, malgrado la crisi ucraina e le difficoltà dell’economia. E malgrado l’ombra di una corruzione implacabile, dentro e fuori - lo diranno le inchieste - i confini della Russia.

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