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L’ultima chiamata (politica) per Alfano

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POLITICA 2.0

L’ultima chiamata (politica) per Alfano

La notizia che la mafia progettava un attentato contro Alfano restituisce credibilità all’attività del ministro dell’Interno ma non oscura la prova che deve affrontare sull’allarme terrorismo. Che si presenta un po’ come un’ultima chiamata politica.

Nel senso che sulla partita della sicurezza e difesa del territorio – e quindi controlli negli sbarchi – Angelino Alfano si gioca non solo la sua credibilità di governo ma il suo stesso futuro politico per sé e per Ncd, un partito ai minimi sul piano del consenso popolare e pure della tenuta parlamentare. E dunque il test che lo aspetta diventa cruciale per il suo destino politico ma anche per i suoi e il gruppo parlamentare già provato da micro scissioni e nuove minacce di divisioni. Insomma è chiaro che tanto meglio farà come ministro tanto più riuscirà ad arginare una fuga e a mantenere un controllo sul suo partito. Realisticamente è difficile che riesca da solo a ricreare un’attenzione intorno alla sua area ma quanto più sarà efficace la sua azione da ministro tanto più riuscirà a garantire per sé e per i suoi fedelissimi una collocazione futura nelle liste del Pd o di un qualche movimento che volesse affiancare la lista di Renzi alle prossime politiche.

La notizia dell’attentato che stavano progettando contro di lui i mafiosi vicini a Provenzano e Riina restituisce un profilo di serietà alla sua azione, quella minaccia di ucciderlo come Kennedy per l’inasprimento del 41 bis gli toglie un po’ la patina di ministro senza nerbo e decisamente gaffeur ma non è sufficiente vista la sfida che adesso lo chiama in causa soprattutto a Roma, città del Giubileo. Tra l’altro, Alfano non arriva a questo esame con precedenti brillanti. Spesso è stato al centro delle polemiche per i suoi atti e per quelli dei suoi compagni di partito che si sono distinti per numero di inchieste giudiziarie più che per gesti politici.

Dal caso Shalabayeva che battezzò il suo debutto da ministro fino a un tweet molto infelice in cui si diceva soddisfatto per la cattura del presunto assassino di Yara Gambirasio, senza che fosse nemmeno iniziato il processo. Uno scivolone in assoluto per un ministro dell’Interno e per un uomo politico che si era sempre professato un garantista negli anni della sua militanza a fianco di Silvio Berlusconi e delle sue tante vicende giudiziarie. Ma la gestione più debole è stata quella sugli immigrati nei giorni caldi degli sbarchi della scorsa primavera-estate, proprio a ridosso delle elezioni regionali, quando le stazioni di Roma e Milano erano in balia dei profughi e senza un minimo di gestione e regia. E c’è, poi, il ricchissimo capitolo dei suoi compagni di partito a partire dal caso delle dimissioni del ministro Maurizio Lupi e l’arresto di Ercole Incalza “boss” delle Infrastrutture per le inchieste sulle grandi opere. Non finisce qui. Perché prima e dopo Lupi la magistratura si è occupata di Ncd più volte, a cominciare dal sottosegretario Giuseppe Castiglione finito nel mirino per il centro di richiedenti asilo di Cara di Mineo e c’è stato anche il senatore Azzollini ancora sotto inchiesta nonostante la Cassazione abbia ritenuto insufficienti le motivazioni per la detenzione.

Un lungo elenco di scandali che fanno da zavorra alla già complicata prova di Alfano e lo lasciano un po’ solo, senza un partito a sostenerlo. Più che la sua area politica sarà il Governo a doverlo sostenere, e Renzi in particolare, il che non è rassicurante. Alla fine, questa per lui è un’ultima chiamata politica che potrà garantirgli una via d’accesso nel Pd o un progetto fuori da Pd. Ma solo se l’esame sarà superato.

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