Non sarà un referendum della portata di quello del 2005, con cui gli olandesi bocciarono la nuova Costituzione europea. Anche quello di oggi sull’accordo di associazione Ue-Ucraina rischia però di dare una spallata all’Europa.
Si tratta di una consultazione non vincolante in cui si chiede di approvare o respingere l’intesa, entrata in vigore in via provvisoria il 1° gennaio dopo il via libera dell’Europarlamento e del Parlamento ucraino. L’accordo - che nel 2014 rappresentò il casus belli della rivolta ucraina contro l’allora presidente Yanukovich e diede inizio alla crisi con Mosca - prevede innanzi tutto la creazione di un’area di libero scambio tra Unione europea e Ucraina, in seconda battuta un rafforzamento dei legami politici (ma non, almeno a breve termine, l’ingresso nell’Unione europea). Nella percezione degli elettori è diventato però un referendum per aprire le porte della comunità europea a Kiev, come dimostra un sondaggio Ipsos reso noto ieri: il 48% degli interpellati ritiene che la consultazione (e l’eventuale vittoria del “sì”) sia l’anticamera dell’ingresso dell’Ucraina nella Ue; solo il 17% pensa che l’accordo sia prima di tutto commerciale.
Da qui a trasformare poi il referendum in voto su un’Europa che impone ai cittadini le sue decisioni (dall’allargamento alle politiche migratorie), senza tener conto della loro opinione, il passo è breve, tanto più se si tiene conto che l’euroscetticismo in Olanda è un sentimento crescente e ha il suo portabandiera in Geert Wilders, di nuovo dato in testa nei sondaggi. Non a caso il controverso leader del Partito della libertà ha dichiarato che «questo referendum può forse riguardare l’Ucraina ma è anche un voto per dire se vogliamo più o meno Europa».
Alla consultazione si è arrivati per effetto di una legge approvata l’anno scorso, che obbliga a indire referendum consultivi su misure legislative o trattati già ratificati dal Parlamento olandese quando a chiederlo sono almeno 300mila cittadini. In questo caso le firme raccolte sono state circa 450mila. Per essere valido il referendum richiede un’affluenza minima del 30% degli aventi diritto, un quorum che – secondo i sondaggi – dovrebbe essere superato appena; se così sarà, il “no” all’intesa è dato in vantaggio.
Che succederebbe a quel punto? Per il governo Rutte sarebbe un brutto colpo, non solo a livello di immagine considerando che l’Olanda è presidente di turno della Ue. Sul piano pratico, l’esecutivo potrebbe approvare una nuova legge per annullare la ratifica dell’accordo, ma non è obbligato a farlo; potrebbe però decidere di tenere conto della volontà degli elettori per ragioni di calcolo, a meno di un anno dalle elezioni politiche e incalzato appunto dagli euroscettici. Anche se l’Olanda facesse dietrofront, peraltro, non sarebbe semplice rivedere un accordo già approvato da tutti gli Stati membri.
Il “no” avrebbe però ricadute esterne: non solo sulle posizioni di Ucraina e Russia, che uscirebbero rispettivamente indebolite e rafforzate, ma anche sulla sempre più traballante architettura europea. «Il no – ha dichiarato il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker – aprirebbe la porta a una grave crisi continentale». Un antipasto del referendum su Brexit, in programma a giugno, con i sostenitori dell’uscita di Londra dall’Unione europea che riceverebbero dal voto olandese una spinta non trascurabile.
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