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Impegno «trasversale» a Strasburgo, italiani in prima linea

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Impegno «trasversale» a Strasburgo, italiani in prima linea

BRUXELLES

Il voto di ieri a Strasburgo con il quale il Parlamento europeo si è detto contrario a concedere alla Cina lo status di economia di mercato colpisce soprattutto per la natura quasi plebiscitaria. La crisi economica, l’incertezza sociale, la fragilità politica hanno indotto tutti i principali partiti europei a convergere su una posizione condivisa, chiedendo pressoché unanimemente alla Commissione europea di mantenere inalterate le difese commerciali dell’Unione contro le vendite sotto costo delle aziende cinesi.

«Il Parlamento europeo – ha spiegato ieri a Strasburgo il capogruppo socialista Gianni Pittella - si è espresso chiaramente con una larga maggioranza: la Cina non è pronta per essere considerata un’economia di mercato. Noi socialisti siamo stati in prima linea per questa battaglia a difesa delle migliaia di posti di lavoro e imprese in Europa che sarebbero spazzati via dalla concorrenza sleale cinese. Anche per questo, esiste l’Unione europea».

Sempre sul fronte socialista, Alessia Mosca, responsabile delle relazioni commerciali con la Cina del gruppo parlamentare, ha sottolineato: «La nostra non è una battaglia contro la Cina, partner commerciale e politico di prima importanza, ma a favore di un commercio globale equo e sostenibile». Ha poi aggiunto: «La Cina (…) non è un’economia di mercato e le nostre imprese, se non dovessimo fare niente, sarebbero gravemente esposte a una competizione sleale».

Sul versante popolare, «la vittoria di oggi – ha affermato il vice presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani - ci permette di tutelare il sistema produttivo italiano, che sarebbe quello più colpito da un riconoscimento dello status di economia di mercato alla Cina». Sempre secondo l’ex commissario all’Industria, «l’Italia sconterebbe, infatti, il 40% delle ricadute negative sul piano europeo. In pericolo ci sono tra i 200mila e i 500mila posti di lavoro nel nostro paese».

I Liberali sono d’accordo nell’affermare che la Cina non è una economia di mercato, ma vogliono che le autorità comunitarie rispettino i loro obblighi internazionali. Riferendosi alle prossime proposte legislative della Commissione, sulla base del Protocollo d’ingresso del paese asiatico nell’Organizzazione mondiale del commercio, il parlamentare europeo Alexander Graf Lambsdorff ha precisato: «Qualsiasi proposta deve rispettare gli obblighi dell’Unione secondo le regole dell’Omc».

In effetti, vi sono incertezze giuridiche sull’iter da seguire: può d’emblée l’Europa non concedere lo status o vi sono impegni minimi a cui deve sottostare? Le risposte non sono chiare perché l’interpretazione del Protocollo d’ingresso firmato nel 2001 non è univoca (si veda l’articolo in questa stessa pagina). Tecnicamente, la risoluzione parlamentare votata ieri a Strasburgo chiede alla Commissione europea di preservare le «metodologie non standard» utilizzate finora nel calcolo dei dazi a cui sono soggetti i prodotti cinesi venduti sotto costo in Europa.

Secondo David Borrelli, deputato europeo del Movimento Cinque Stelle, «la Commissione, adesso, nel fare la sua proposta al Consiglio, non potrà far finta di niente. Bisogna vincere anche la partita di ritorno per portare a casa questa importante vittoria per il futuro delle imprese europee».

Invece, i Verdi, per bocca del parlamentare Yannick Jadot, hanno esortato i Ventotto a rafforzare «i suoi strumenti di difesa commerciale». Da segnalare, infine, che - su 73 deputati italiani - a votare contro la risoluzione sono stati solo i leghisti Mara Bizzotto, Mario Borghezio, Gianluca Buonanno e Lorenzo Fontana.

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