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Dossier | N. 40 articoliI rapporti della Fondazione Hume

Austerità, euro e rifugiati: le «colpe» di Bruxelles uniscono Lega e 5 Stelle

L’euroscetticismo paga in termini di consenso? Ne sono convinte le formazioni politiche di casa nostra, che sulla critica a tutto campo alle politiche europee su immigrazione ed economia basano le loro contro-ricette. E andrà effettivamente così se l’Europa non riuscirà a ritrovare il bandolo di una matassa al momento alquanto sfilacciata. Lo ha rilevato senza mezzi termini il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan: l’Europa sta vivendo «una situazione eccezionale in cui sta rischiando forse come non ha mai rischiato da quando è stata inventata». E con l’emergenza rifugiati quello che è in discussione è il trattato di Schengen, «ed è più pericoloso della crisi dell’euro di qualche anno fa».

Alle critiche su come l’Europa ha reagito alla più grave crisi economica degli ultimi decenni (in sostanza attraverso l’austerità a senso unico), e all’altrettanto epocale crisi dei rifugiati e richiedenti asilo, si dovrebbe rispondere in realtà intensificando il percorso dell’integrazione politica ed economica, non con le barriere, la messa in discussione degli accordi di Schengen, i fili spinati e con ricette di politica economica non in grado di creare crescita stabile, investimenti e occupazione.

«Non funziona proprio questa Unione europea – tuona Alessandro Di Battista, uno dei più accreditati esponenti del Movimento 5 Stelle – che stanzia 240 miliardi di aiuti alla Grecia provenienti dalle tasse di tutti noi cittadini, di cui solo 10 miliardi sono finiti nelle casse dello Stato, e il resto è servito per pagare gli interessi sul debito e per ricapitalizzare le banche private».

«Caro presidente Juncker – spara ad alzo zero il leader della Lega, Matteo Salvini – lei ha contribuito al disastro economico in cui siamo, e milioni di cittadini europei sono danneggiati da questa Unione europea che fa le guerre sbagliate, che ha una moneta sbagliata, che non difende il made in Italy, che risponde agli interessi della Massoneria, delle banche e della finanza».

Attacchi su tutto il fronte, dunque, con toni di certo esasperati in casa nostra dalla campagna elettorale in corso per le elezioni amministrative, ma che evidenziano un approccio di fondo che assimila due delle principali forze di opposizione ai principali movimenti euroscettici europei (peraltro in consenso crescente di voti in non pochi Paesi europei). Ecco quanto evidenzia l’ultimo rapporto Italia dell’Eurobarometro: nonostante una valutazione generalmente positiva verso le politiche dell'Unione europea, gli italiani sono sempre più “euro-delusi” con un forte sentimento di disaffezione verso l'Europa. Ormai il 50% afferma di non sentirsi cittadino europeo, «risultato che avvicina l’Italia a paesi tradizionalmente meno entusiasti dell’Europa, come la Gran Bretagna o la Repubblica Ceca».

A questo raffreddamento dell'opinione pubblica «contribuisce anche l’idea molto diffusa (63% del campione) che gli interessi italiani non siano tenuti in dovuta considerazione a Bruxelles».

Dati che trovano conferma nel livello di fiducia dei cittadini europei nei confronti delle principali istituzioni comunitarie, riportato nel Dossier della Fondazione Hume. La percentuale di cittadini dell’Unione che nutrono fiducia nel Parlamento Europeo è passata dal 68% nel 2004 al 51% nel 2015, «e ciò significa che all’inizio dell’ottava legislatura quasi la metà delle persone che dovrebbe sentirsi rappresentata da questo Parlamento non ha invece fiducia nel suo operato».

Certo la paura (ingenerata dal terrorismo) esaspera i sentimenti di chiusura e di insofferenza, ma qui c’è dell’altro: il problema è che oltre tre anni di profonda recessione hanno lasciato sul campo (oltre ai punti persi di Pil e all’incremento dell’esercito dei disoccupati) un sentimento diffuso di smarrimento, di incertezza nel futuro.

Riguarda noi, in particolare, perché ancor prima della “grande crisi” esplosa nel 2008 crescevamo in media di un punto e mezzo in meno della media europea. E il risanamento ha un prezzo. Basta soffermarci un attimo sul peso degli interventi correttivi varati nel 2011, l’anno della crisi dello spread e dell’attacco frontale ai debiti sovrani dell’eurozona: 48,9 miliardi nel 2012, pari al 3,1% del Pil, che salgono a 81,3 miliardi nel 2014 (il 4,9% del Pil). Interventi concentrati per due terzi in aumenti dell’imposizione fiscale. È la conferma dell’ingente sforzo di risanamento messo in atto dal nostro paese. Abbiamo spento l’incendio ma a prezzo di tre anni di recessione, da cui solo dallo scorso anno con una crescita dello 0,8% siamo lentamente provando a uscire.

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