Sono elezioni difficili da decifrare. Come spesso succede quando si vota a livello locale. Le percentuali di voto ai partiti dicono poco o nulla perché sono troppe le liste civiche che falsano il risultato. Inoltre nei 132 comuni superiori ai 15mila abitanti, e dove si è votato con il sistema maggioritario a due turni anche nelle precedenti elezioni, solo in 21 casi il sindaco è già stato eletto. Per gli altri occorre aspettare il 19 giugno. Cinque anni fa negli stessi comuni i vincitori al primo turno erano stati 40. Il fenomeno non è solo legato alla presenza di un terzo polo - il M5s - ma anche alla crescita della frammentazione.
Restringendo l’analisi ai 24 capoluoghi di provincia i sindaci eletti sono quattro: Cagliari, Rimini, Salerno e Cosenza. Nei primi tre casi ha vinto il candidato del centrosinistra, a Cosenza quello del centrodestra.
I risultati definitivi sono troppo pochi per poter trarre delle conclusioni affidabili. Ma i numeri nudi e crudi raccontano solo una parte della storia. Il M5S non ha vinto ancora in nessuno dei 132 comuni, ma è un dato oscurato dall’ottimo risultato della Raggi a Roma e della Appendino a Torino. Bastano questi due casi per dare l’idea di un grande successo del Movimento. Ma il quadro complessivo è più variegato. A Milano, Napoli, Bologna non è andato bene. Nella maggior parte dei 132 comuni superiori la sfida per la vittoria finale rimane una contesa senza un candidato pentastellato. I ballottaggi che vedono in corsa il M5S sono solo 19 (11 con un candidato di centro-sinistra, 3 casi con un candidato di centro-destra, 2 con un candidato di destra, 3 con un candidato di liste civiche). In questo il M5S paga il fatto di correre da solo contro candidati sostenuti da coalizioni formate da più liste. Alla fine dei giochi non saranno molte di più di ora le città governate dal M5S, ma il risultato finale di Roma e Torino sarà determinante. A Roma è molto probabile che la Raggi sia il prossimo sindaco e a Torino l’esito del ballottaggio è incerto. E questi due comuni contano molto di più di Parma e Livorno che fino ad oggi rappresentano i due maggiori successi del M5S.
Torino merita una riflessione a parte. In fondo i risultati di Milano, Roma e Napoli rispettano più o meno le aspettative. Torino no. Roma è stata una città governata male dove il Pd aveva una montagna da scalare. È una specie di miracolo che Giachetti sia arrivato al ballottaggio. Torino invece è una città governata bene, con un sindaco che gode di un buon livello di popolarità. E nonostante ciò Fassino rischia di non essere riconfermato. Perché? Abbiamo fatto i flussi elettorali tra il primo turno del 2011 e quello di oggi. Nel 2011 Fassino ottenne 255.242 voti, il 56,7% e vinse subito. Adesso ne ha presi 160.023, il 41,8%. Dove sono finiti i 90mila voti che mancano? Una parte, il 14%, è andata verso l’astensione ma il 32% è andato direttamente alla Appendino. Questo è il dato più clamoroso. Solo in parte compensato dal fatto che il 26% degli elettori del candidato del centrodestra nel 2011 hanno votato Fassino nel 2016. In sintesi Fassino ha “sfondato” al centro, ma ha perso di più verso il M5S. Cosa ci sia dietro questo fenomeno è cosa da approfondire.
Intanto tra due settimane vedremo come si comporteranno al secondo turno gli elettori di sinistra e quelli del centro-destra. Sarà un test interessante. E altrettanto interessante sarà il voto degli elettori del M5S a Bologna dove al ballottaggio si sfidano il candidato del Pd e la candidata della Lega Nord. Per il Pd e il centro-sinistra in generale è presto per fare un bilancio. Bisogna vedere cosa succederà a Milano e soprattutto a Torino e Bologna. Le sconfitte a Roma e Napoli erano attese. Complessivamente i dati non sono del tutto negativi. Il centrosinistra ha già vinto in tre capoluoghi di provincia, tra cui Salerno dove il suo candidato ha ottenuto addirittura il 70% dei voti, e questo è un caso cui andrebbe dedicata maggiore attenzione. In 17 capoluoghi di provincia su 24 è andato oltre il 30%. Ha vinto in moltissimi comuni sotto i 15mila abitanti. Ha collezionato il maggiore numero di ballottaggi: 83 comuni sui 111 in cui ci sarà un secondo turno. Il Pd ha confermato di essere il primo partito nel paese. Quello con un radicamento territoriale più diffuso. Però dimostra anche una fragilità preoccupante in certe aree. Renzi non ama dedicarsi al partito. Preferisce il governo. Ma qualcosa dovrà fare. Da quanto tempo non si riunisce la segreteria? Ha senso che uno dei vice-segretari, per quanto brava, sia anche presidente di una giunta regionale?
Anche per la valutazione dello stato di salute del centrodestra occorre aspettare i ballottaggi. Al momento il risultato non è esaltante, ma nemmeno disastroso. A Roma e Torino è andato male, ma nella capitale poteva andare meglio se fosse stato unito. Però anche dove era unito le percentuali di voto dei suoi candidati-sindaco sono andate raramente oltre il 30%. Nell’insieme dei 24 comuni capoluogo questo è successo 8 volte. Tuttavia ha vinto a Cosenza ed è andato bene a Milano, Trieste, Pordenone, Varese. Né si può sottovalutare il fatto che i suoi candidati andranno al ballottaggio in 54 comuni su 111. Dentro il centrodestra il vero problema è il declino di Forza Italia. Solo a Milano il partito di Berlusconi ha ottenuto un risultato discreto. In molti capoluoghi è ben sotto il 10%. Anche in questo caso però occorre cautela. La presenza di molte liste civiche rende problematica la lettura di questo dato. Ma la crisi di Forza Italia è evidente. Solo la vittoria di Parisi a Milano potrebbe attenuarne temporaneamente la portata. In ogni caso resterebbe aperto il problema della ricomposizione di questo schieramento. Tanto più che alle prossime politiche in competizione ci saranno le liste e non le coalizioni, se l’Italicum non cambierà.
In sintesi, siamo di fronte ad un quadro molto frammentato, che presenta luci e ombre per ognuno dei maggiori schieramenti. Non si può dire che questa consultazione abbia un vincitore o riveli una tendenza definita. È una altra fotografia di un paese fluido.
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