Mondo

Il boom occupati Usa spinge Wall Street

  • Abbonati
  • Accedi
USA

Il boom occupati Usa spinge Wall Street

  • –Riccardo Sorrentino

Il pessimismo di maggio è sparito in un colpo solo: a giugno l’economia Usa ha creato 287mila posti di lavoro, molti di più dei 175mila previsti e soprattutto degli appena 11mila di maggio (erano 38mila nella prima stima di un mese fa). In media, nel secondo trimestre di quest’anno - nota Harm Bandholz di Unicredit Research - sono stati creati 147mila posti al mese, dopo i 186mila dei primo trimestre e i 230mila del 2015. È un rallentamento evidente che però è più che comprensibile: gli Stati Uniti, secondo diversi economisti, hanno raggiunto la piena occupazione.

Non sorprende allora la reazione di Wall Street, che ha azzerato le perdite subite dopo il voto su Brexit: il Dow Jones ha chiuso in rialzo dell’1,40%, lo S&P dell’1,53% e il Nasdaq delll’1,64%. L’indice Vix, che misura la volatilità, si è avvicinato ai minimi dell’anno.

Il rialzo della Borsa Usa è anche più sorprendente se si pensa che i numeri sul mercato del lavoro di ieri hanno riportato d’attualità un rialzo dei tassi di interesse da parte della Fed, che aveva rinviato una stretta “estiva” proprio dopo i cattivi dati di maggio e sembrava dover assumere un orientamento di attesa anche più lungo per valutare meglio tutte le ricadute del Brexit.

Il mercato del lavoro lancia segnali di maggior salute, anche nei dettagli. Il tasso di disoccupazione è aumentato, dal 4,7 al 4,9%, pur restando sotto la soglia della “piena occupazione”, il 5%. Questo incremento è in gran parte dovuto al fatto che sempre più persone finora “scoraggiate” hanno ripreso a cercare lavoro. Il tasso di partecipazione, che resta comunque storicamente piuttosto basso, è leggermente salito al 62,7%. Soprattutto, è calato - e rapidamente - il numero di persone impiegate part-time per ragioni economiche e non per scelta, uno dei motivi che rendevano la situazione del mercato del lavoro, agli occhi della Fed, qualitativamente insoddisfacente.

Diversi analisti hanno sottolineato che l’incertezza sullo stato dell’economia globale - anche dopo Brexit - è così elevato che difficilmente la Fed tornerà ad alzare i tassi presto. I dati di ieri hanno allora riportato fiducia sull’economia, e quindi sui mercati, senza alterare le aspettative sui tassi. «Crediamo che la Fed resterà ferma per tutto il 2016: questi dati confermano che l’economia si muove ancora bene, ma non mutano il percorso dell’autorità», ha spiegato alla Reuters Darrell Cronk del Wells Fargo Investment Institute. «Non alzerà i tassi troppo presto, ci sono anche altre cose da valutare», ha aggiunto Tom Porcelli della Rbc Capital markets. «Al margine, aumenta leggermente la possibilità di un rialzo nel breve termine. La Fed ha sminuito i dati quando erano deboli, questi più forti potrebbero incontrare la stessa reazione», ha detto Stanley Sun di Nomura Securities.

A sostegno di queste ipotesi, oltre all’incertezza del dopo Brexit, lavorano i dati su salari e stipendi. I guadagni orari sono aumentati del 2,7% annuo e solo dello 0,1% mensile, un ritmo inferiore alle previsioni. Secondo il team di Michael Gapen di Barclays, salari e stipendi puntano a un aumento del 3,2% trimestrale annualizzato nel secondo trimestre, con un rallentamento rispetto al 4,4% medio dei quattro trimestri precedenti. È un ritmo, aggiunge, «ancora sufficiente a incoraggiare una sana spesa al consumo», ma non è azzardato ipotizzare che l’incremento non sia soddisfacente per la politica monetaria. La Fed punta sulla “curva di Phillips” - più posti di lavoro, salari più alti, più domanda, prezzi più alti - per riportare inflazione e aspettative di inflazione verso l’alto; i risultati sono finora incerti. Se però l’aspettativa di una Fed ferma per qualche mese può trovare qualche sostegno nei dati, meno solida appare la previsioni del mercato che, nota Bandholz, «sconta appena un singolo rialzo prima della fine del 2018».

© RIPRODUZIONE RISERVATA