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Dossier Brexit, da rischio a occasione

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Dossier | N. (none) articoliReferendum su Brexit

Brexit, da rischio a occasione

Valutare l'effetto Brexit sull'onda dell'emotività e delle prime reazioni dei mercati rischia di portare a conclusioni affrettate, soprattutto a fronte dell'esplosione di volatilità e degli eccessi nei giudizi, quasi sempre guidati da irrazionalità.
Guardiamo per un attimo alle prospettive di periodo (6 mesi) dal lato del business e dell'operatività quotidiana delle imprese, e poi torniamo all'attualità e ai possibili impatti della Brexit.

Sul lato business segnali più rassicuranti arrivano dagli indicatori del Club di TEH-A di sentiment che hanno l'obiettivo di prevedere i cambiamenti economici in atto, le tendenze future e il loro impatto sul sistema sociale e sugli investimenti delle imprese. È vero che una parte delle rilevazioni è stata realizzata prima di Brexit, ma anche le rilevazioni successive non hanno evidenziato drastici cambiamenti in senso negativo. Le minacce maggiori sono legate al disgregamento del progetto politico e alla stabilità dell'Unione europea e dell'Area euro.

Gli indicatori del Club Ambrosetti sono elaborati sulla base di una survey realizzata su oltre 350 imprenditori, amministratori delegati e rappresentanti dei vertici aziendali delle più importanti società italiane e multinazionali che operano in Italia. Dal quotidiano confronto e da survey realizzate ad hoc otteniamo informazioni sulla visione della nostra business community sull'andamento economico a 360 gradi, sugli investimenti in programma, sull'andamento delle vendite, sui nuovi ordinativi e sull'evoluzione dei mercati di sbocco dei prodotti e servizi. Valori sopra lo zero indicano un sentiment positivo che prevede una espansione dell'attività economica, valori sotto lo zero indicano la previsione di una contrazione dell'attività economica.
I risultati dell'Ambrosetti Club Economic Indicator confermano una positività di fondo sull'economia, sull'occupazione e sugli investimenti. Rimaniamo lontani dai massimi del 2015, ma la business community italiana non è pessimista sul futuro.

In accordo con questo quadro, pensiamo che la Brexit, oltre a uno shock negativo esterno con rischi per la nostra economia, possa rappresentare anche un'opportunità per l'Italia, dal punto di vista economico.
Lo shock nel breve periodo potrebbe avere ricadute significative, rallentando la crescita dell'Europa e dell'Italia che, più di altri Paesi, presenta fragilità per l'alto debito pubblico, ma i risultati delle nostre analisi e il sentiment della business community italiana sembrano scongiurare il pericolo di una recessione.
Ci sono alcuni motivi che sostanziano questa prospettiva.

I tassi sul debito a dieci anni sono rimasti sostanzialmente stabili. Due giorni dopo la Brexit il decennale italiano è all'1,44%, una settimana dopo si è assestato all'1,22%, ai minimi storici. Lo spread che si era leggermente alzato fino a 160 in corrispondenza della Brexit, si è poi attestato in area 140. La fiammata è legata più alla discesa dei rendimenti dei Bund che per una sfiducia sul debito italiano. Il Bund decennale, considerato porto sicuro, è sceso fino a -0,2% ed essendo lo spread il differenziale tra i due tassi del debito a dieci anni, la riduzione di quello tedesco ha comportato da solo un aumento dello spread. In breve, anche grazie allo straordinario lavoro di Mario Draghi alla Bce, la Brexit non ha riattivato preoccupazioni sul debiti sovrani. L'Italia continua a finanziarsi a tassi straordinariamente bassi e negativi fino a 5 anni (in questi casi è bene ricordarlo, il mercato paga l'Italia per prestargli il denaro, cioè l'Italia restituirà tra 5 anni meno risorse di quante ne prende a prestito dal mercato).

Pensiamo siano eccessive le preoccupazioni sul sistema bancario italiano che, inoltre, è in piena trasformazione. È tutto il sistema bancario europeo in sofferenza e lo dimostrano le performance di borsa delle principali banche straniere che da inizio anno registrano andamenti compresi tra il -30% e il -50%. Anche la sensazione che l'Italia soffra di più degli altri è dovuta al maggior peso del comparto finanziario nel nostro indice rispetto ad altre Borse.
La nostra esposizione commerciale nei confronti del Regno Unito è importante, ma di gran lunga inferiore a quella di Germania e Francia e di Paesi del Nord Europa come Olanda e Belgio. L'Italia esporta nel Regno Unito circa 27 miliardi di dollari, un quarto della Germania che vi esporta quasi 100 miliardi di dollari. Ancora maggiore è il differenziale in termini di surplus commerciale: l'Italia genera 12 miliardi di dollari di attivo commerciale verso Londra, contro i 50 miliardi di dollari della Germania.

Da questi dati capiamo anche il comportamento più prudenziale del Governo tedesco che, contrariamente alla linea tenuta l'anno scorso con la Grecia, ha da subito adottato un atteggiamento più paziente. Anche Francia (40 miliardi di dollari), Olanda (55 miliardi di dollari) e Belgio (34 miliardi di dollari) esportano in Regno Unito più dell'Italia.
Ultimo punto è che da 5 anni l'Italia ha riconquistato affidabilità e credibilità europea e internazionale. Il nostro ruolo emerge, non solo di fronte al collasso politico, ma anche a fronte delle debolezze della Francia, e dell'impasse politica spagnola che dopo 2 elezioni in 6 mesi sembra abbia nuovamente difficoltà a formare un Governo.

Sulla ritrovata credibilità internazionale riteniamo si debba partire per rilanciare appieno il ruolo dell'Italia come uno dei Paesi guida del Continente. È necessario attivare da subito azioni di policy per candidare il nostro Paese e la città di Milano come sede di due autorità europee oggi basate a Londra che dovranno essere trasferite: l'European banking authority (Eba) e l'European medicines agency (Ema), tra l'altro quest'ultima è guidata da un italiano, il bravo Guido Rasi.

Con riferimento all'Eba la concorrenza di Francoforte e Parigi è spuntata dal fatto che ospitano già rispettivamente la Bce e l'Esma (European securities and markets authority). Se guardiamo all'Ema, in Lombardia è presente una delle più importanti filiere della sanità e della farmaceutica in Europa, con specializzazioni su applicazioni mediche e ricerche biotecnologiche.
L'Italia deve anche porsi nelle condizioni per attirare tutte le aziende cinesi che, fino a ieri, hanno utilizzato il Regno Unito come porta per l'Europa, o meglio come porta per il mercato unico europeo, tramite la creazione di package di attrattività e incentivi.
Ci sono tutte le possibilità per pensare a agire da grande Paese, sapendo che la risposta oltre che economica, questa volta dovrà essere anche politica.

Valerio De Molli è managing partner
The European House-Ambrosetti

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