La «corruzione percepita» non esiste in sè. Può avere un irrazionale effetto sulla reputazione, ma è difficilmente misurabile. Così come la corruzione vera e propria. Quella fatta di scambi di favori e mazzette per ottenere in cambio permessi o appalti. Dopo che la leggenda dei 60 miliardi era stata già bollata come dato-bufala, un anno, fa in prima persona dal presidente della Corte dei Conti Raffaele Squitieri («Se conoscessimo il valore della corruzione avremmo già vinto la battaglia, perché sapremmo quale sarebbe l’insieme di riferimento, mentre non abbiamo alcuna idea di quale sia la dimensione del fenomeno») è arrivato anche il "de profundis" di Raffaele Cantone.
Nelle 335 pagine della Relazione annuale consegnata a inizio estate al Parlamento, il numero uno dell’Anticorruzione non spreca neppure un rigo per tentare di valutare l’entità del fenomeno. E lo dice fin dall’inizio. «Non si tenterà neanche di sfiorare la celebre questione _ sottolinea il presidente Anac _, da più parti sollevata, se la corruzione si o meno in aumento e se la celebre stima di costo di 60 miliardi di euro sia realistica; si tratta, in fatti, di interrogativi , che pur legittimi, non trovano a oggi risposte affidabili, anche per la mancanza di dati scientificamente validati».
L’ex magistrato ha provato a spiegarlo più volte da quando è a capo dell’Anac: la corruzione è di per sè un reato "nascosto", difficile da far emergere perché tutti i soggetti coinvolti ne traggono utilità e dunque non scatta qual "conflitto di interessi" tipico delle situazioni in cui un soggetto subisce e denuncia. Inutile allora chiedere se oggi _ dopo che «il cantiere dell'Anticorruzione» è stato aperto da più di un anno _ in Italia ci sia più o meno corruzione che in passato.
«Quando la corruzione emerge vuol dire che oggettivamente è in via di diminuzione _ risponde Cantone _, nel senso che l’emersione dell’attività di corruzione svolge anche una funzione di prevenzione. Però ho molti dubbi sui tentativi di fare i calcoli sulla quantificazione: la corruzione è per sua natura un reato che si nasconde». Per quanto possano sembrare asettiche, continua Cantone, in realtà, le classifiche sono sempre realizzate «con dati che non hanno carattere di scientificità». E che anzi «possono essere pericolosissimi perché in molti casi danno una rappresentazione che distorce la realtà fattuale e non servono a combattere il fenomeno».
Da questo punto di vista l’aumento di segnalazioni rilevato nella relazione di Cantone non deve essere interpretato come un indicatore di una crescita del fenomeno, ma come un riconoscimento che esistono condizioni più favorevoli per provare a contrastare la deriva verso il malaffare. «La presenza di persone che denunciano di più - ha aggiunto il presidente dell’Anac - è il segnale di un tentativo di cambiamento, di una volontà di reazione che credo sia forte. In questo Paese per tantissimi anni di corruzione non si è parlato. Ci sono almeno dieci anni in cui la parola corruzione sembrava scomparsa dai dizionari».
L’anno scorso invece q qualcosa si è mosso. E la relazione sull’attività 2015 prova a dimostrarlo citando dati precisi. « Le segnalazioni di anomalie su appalti di lavori, servizi e forniture sono passate da circa 1.200 nel 2014 a quasi 3mila nel 2015». Anche sul fronte della trasparenza le segnalazioni sono aumentate di circa il 90%, passando da 760 nel 2014 a 1.435 nel 2015. Mentre considerando tutti gli altri ambiti di intervento dell’Anac il totale dei procedimenti di vigilanza aperti nel 2015 supera le 6.300 unità.
Per il numero uno dell’Anac, i dati sull’incremento considerevole delle segnalazioni nel 2015 «testimoniano oltre che la fiducia riposta nell’Autorità, di cui siamo orgogliosi, un "risveglio" da parte di operatori e cittadini, stanchi di un sistema spesso incapace di gestire risorse pubbliche destinate a opere e servizi fondamentali per la collettività».
Detto questo, non è che manchino le criticità. E l’ex magistrato si guarda bene dal nasconderle. «La presenza e l’attenzione sul tema è un elemento utile e importante per lavorare sulla prevenzione. Ma se mi si chiede se la corruzione oggi è in decremento in modo tale da poterci far guardare con tranquillità al futuro, la risposta è certamente no».
Particolarmente deludente è il bilancio sulla prima stagione dei piani anticorruzione. Il piano del 2013 è rimasto «un pezzo di carta». E le difficoltà sono confermate anche dall’attività svolta nel 2015, anno in cui , si legge nella relazione, «sono stati aperti ben 929 procedimenti istruttori, alcuni relativi ad importanti amministrazioni come Roma Capitale e il Ministero dello sviluppo economico».
Motivo? Per molte amministrazioni il Piano anticorruzione rimane un «mero adempimento formale», limitato a schivare il rischio-sanzioni in caso di mancata adozione. Da parte loro i funzionari chiamati ad adottarlo e attuarlo lavorano «nell’isolamento» e nel «sostanziale disinteresse degli organi di indirizzo politico». Non solo. Pesano molto anche « le difficoltà organizzative delle amministrazioni, complice la scarsità delle risorse finanziarie». È ovvio che molto dipende dalla dimensione e soprattutto dalla qualità dell’organizzazione in cui il piano va a innestarsi. Per questo, l’Anac punta a superare le criticità con il nuovo piano in gestazione, più snello e facilmente applicabile . E soprattutto calibrato « sulla differenziazione dei contenuti in relazione alle diverse tipologie e dimensioni delle amministrazioni».
Servirà? Forse. Semplificare aiuta sempre. Ma è anche necessario un cambio di atteggiamento delle amministrazioni. Capace di superare la "pigra" risposta da adempimento burocratica in una soluzione "proattiva" alle questioni che vengono poste. Altrimenti la strada resterà in salita.
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