«Gli italiani si dimenticano del sisma, ma il terremoto non si scorda di noi». Natale D’Ottavio è un ingegnere strutturista lontano anni luce dalla filosofia Tao. Nell’Umbria francescana certe massime filosofiche traducono una militanza antisismica che ormai è connaturata con la teoria e la pratica della sopravvivenza.
Ci sono date spartiacque dalle quali o non ti riprendi più o impari a vivere in modo diverso. A Norcia i terremoti del ’79 e del ’97 sono come il Vajont o l’alluvione di Firenze per il resto degli italiani: date incise nella carne viva.
Dalle lezioni della natura, anche le più feroci, si ricava sempre qualche buona pratica. Agli umbri ne sono bastate due, di sconfitte. Regole, capitolati d’appalto e normative si sono adeguati alla lotta. Una lotta permanente, perché il terremoto è come una malattia cronica: sei obbligato a conviverci. Un’affermazione semplice da sottoscrivere ma difficile da mettere in pratica, soprattutto mentre le scosse si susseguono come un bombardamento: le app degli smartphone allertano ormai con uno squillo. Alle 13,26 magnitudo 3.8, neppure 26 minuti dopo 3.5 con epicentro a sei chilometri da Norcia, alle 15,25 3.9. Mentre la terra trema, ci sono donne che scoppiano in lacrime e si stringono ai compagni. È naturale che sotto un martellamento di scosse saltino i nervi. Una dipendente comunale che non vuole rivelare il suo nome dice quello che gli altri pensano: «Ci sono centinaia di famiglie che dormono in macchina da una settimana: non rientriamo a casa neppure per una doccia. Abito al terzo piano e non me la sento di rischiare. Perché la Protezione civile non invia le tende anche per noi?». Al Com di Norcia, un grande piano terra a due passi da Porta Romana, sono riuniti in permanenza Vigili del fuoco, Protezione civile e l’intera struttura comunale. Tutti corrono da una parte all’altra mentre i vigili del fuoco sono di guardia negli edifici strategici. La chiesa di San Benedetto è chiusa e transennata, con la guglia destra in piena torsione come accade a ogni terremoto. Anche la chiesa della Madonna addolorata, una bomboniera ellittica, ha una piccola porzione della facciata danneggiata.
La notte del 24 agosto a Norcia c’erano 22mila turisti e 5mila residenti. Qualche ora dopo, racconta Vincenzo Bianconi, proprietario con il padre Carlo e il fratello Federico di cinque alberghi e due ristoranti, «dei nostri 500 ospiti è rimasta solo una 85enne romana che con nonchalance continua la sua vacanza umbra».
I norcini parlano del terremoto e della faglia del Vettore come se fossero persone di famiglia. «Qui ci siamo tramandati di padre in figlio i racconti della grande botta del 22 agosto del 1859: allora ci furono 101 morti» racconta il vicesindaco Pietro Luigi Altavilla. Memorie dei terremoti passati che si accavallano con quelli che scuotono la terra in queste ore, ma le norme antisismiche sicuramente più avanzate di quelle del Lazio, hanno tralasciato di organizzare le esercitazioni contro i terremoti: Altavilla è schietto: «Non lo scriva, ma su questo fronte siamo rimasti indietro». Manca anche un’area di raccolta e la segnaletica appropriata, cose di cui dispone anche il più piccolo villaggio friulano. Per fortuna, a differenza di Amatrice, le case si sono rivelate scudi e non trappole mortali. Alcuni edifici pubblici però dovrebbero essere ripensati ex novo. Il geometra Mario Salvatori conosce bene la scuola materna ed elementare intitolata ad Alcide De Gasperi, edificata negli anni negli anni ’50. «Ha subito almeno quattro ristrutturazioni e incassato cinque terremoti. Forse è il caso che sia ricostruita ex novo».
Nessuno in Umbria è stato così fesso da mettersi un solaio di cemento armato sopra la testa. Se cemento dev’essere, allora si tratta di materiali alleggeriti, legno lamellare, solette che non caricano i muri sottostanti. Se appesantisci la struttura, la scossa aumenterà la sua forza d'urto. È l’elogio della leggerezza di calviniana memoria prestato all’edilizia. Leggerezza metafisica ma in questo caso soprattutto fisica. Altra innovazione umbra è l’Umi (Unità minima immobiliare), un acronimo che obbliga alla ristrutturazione di interi fabbricati omogenei cielo-terra. Spiega D’Ottavio: «Inutile trasformare casa mia in un bunker antisismico se poi l’appartamento al piano di sopra o la casa accanto crolleranno alla prima scossa». L’ingegnere francescano in questi giorni è martellato di telefonate. Ne riceve una trentina al giorno. Confessa: «Prima del 24 agosto non riuscivo a mettere insieme neppure il mio cliente con il vicino di casa più prossimo: adesso mi aspettano fuori dalla porta interi gruppi di amici e parenti come se fossi uno sciamano».
Tutti pretendono la sua ricognizione, l’analisi delle strutture portanti, i suggerimenti per rendere invulnerabili le abitazioni. Lui riflette e mentre guarda l’arco di Porta ascolana, uno dei due presidi (l’altra si chiama Romana) che segna il punto cardinale di Norcia, sbotta: «Chi ha ristrutturato in zona sismica dopo la prima metà degli anni ’70 con un solaio di cemento armato ha compiuto un errore gravido di conseguenze. Per costruire case sicure ci vogliono soldi, competenze e sensibilità del committente». Se manca solo una di queste tre cose, nessuno sciamano potrà garantire alcunché. Il terremoto è una brutta bestia: per sua stessa natura infìdo, sommamente imprevedibile e obbligatoriamente temerario.
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