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Il diritto della Capitale a essere governata

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IL COMMENTO

Il diritto della Capitale a essere governata

Il sindaco di Roma, Virginia Raggi (LaPresse)
Il sindaco di Roma, Virginia Raggi (LaPresse)

Non è una banale questione di difficoltà burocratiche quanto sta accadendo al Comune di Roma, quanto piuttosto l’emergere di un intrico di problematiche in parte eredità di un passato più che complicato, in parte dipendenti da un movimento cresciuto molto in fretta e che ha al suo interno anime diverse e difficoltà non previste nella gestione di posizioni di potere. Non c’è da gioire per quanto sta accadendo, perché la Capitale avrebbe tutto il diritto ad essere governata e gli elettori che hanno scommesso sulla possibilità di un cambiamento radicale, al limite del salto nel buio, tutte le ragioni per non vedere deluse le loro aspettative.

Da un lato quanto è accaduto rivela la sottovalutazione che troppi fanno, anche al di fuori dei Cinque Stelle, del groviglio di problemi che stanno oggi in capo ad una amministrazione pubblica. Ci sono norme e contro norme, quasi una giungla di leggine e regolamenti che rendono difficile per chiunque mettersi al riparo di contestazioni in materia di legalità e di trasparenza. I Cinque Stelle si erano illusi che bastasse urlare un “vaffa” nelle piazze e gridare “onestà, onestà”, perché miracolosamente tutto si mettesse a posto. Arrivati al potere, e non solo a Roma, si sono accorti che le cose sono complicate, che una classe dirigente non si improvvisa, che loro possono finire oggetto delle stesse contestazioni che facevano agli altri. Non stiamo parlando tanto della classe politica, che offre qualche spazio in più per gli “uomini nuovi”, quanto di quella amministrativa, dove l’esperienza e la competenza sono fattori decisivi e che dunque è inevitabilmente un terreno di reclutamento fra persone che possono offrire quella qualità di servizio.

L’abbandono di personalità come la giudice Raineri, abbandono che non è dovuto a ragioni economiche, e dell’assessore Minenna, ma soprattutto le diatribe per una serie di nomine di collaboratori della sindaca che non sono esattamente il ritratto di quanto auspica il movimento per quelle posizioni, da tempo suscitavano un dibattito all’interno degli stessi pentastellati romani. Naturalmente nessuno può davvero mettere sotto accusa la Raggi per non avere fatto miracoli in pochi mesi, ma il tema non è questo, quanto il suo modo di agire nella riorganizzazione dell’amministrazione capitolina e delle varie istituzioni che ad essa fanno capo.

Si sa benissimo che quello era un guazzabuglio in cui sarebbe stato difficile mettere le mani, ma le domande che circolano su un riposizionamento di personaggi delle passate amministrazioni non possono essere ignorate. Per certi versi potrebbe trattarsi di un fenomeno tipico di tutti i movimenti di contestazione radicale, che, soprattutto in una prima fase, subiscono il rifugiarsi nelle loro fila di personaggi che fiutano il tramonto del potere dei vecchi padroni, ma che, in compenso, hanno conoscenze di vario genere da mettere a disposizione dei nuovi arrivati.

Quanto la dirigenza nazionale del movimento è consapevole di questo rischio? Probabilmente più di quel che faccia apparire per ovvie ragioni tattiche. Anche qui però i vertici dei Cinque Stelle sono costretti a fare i conti con una regola della politica che essi avevano a gran voce negata: il fatto che non è così semplice né eterodirigere i propri membri destinati a ruoli dirigenti, né sbarazzarsi di loro quando non apparissero più in consonanza cogli obiettivi del movimento (o peggio quando diventassero di pregiudizio per la sua immagine).

Nel caso dei sindaci ciò è particolarmente evidente, perché la legge tutela quella posizione al punto che un loro passo indietro fa cadere tutta la consigliatura e si torna alle urne. Certo questo è qualcosa che a Roma il movimento non può permettersi, soprattutto dopo che ha presentato la conquista della Capitale come il viatico per l’assunzione del governo nazionale.

Il caso Roma mette la dirigenza Cinque Stelle (e lo stesso Grillo, forse non a caso tornato sulla scena politica) davanti ad una vera e propria prova di governo, innanzitutto all’interno del movimento, perché non potrà evitare di fare i conti con una crescita di consensi che ha avuto la sua componente trasformistica e di confluenza sul carro del vincitore. Da questo punto di vista c’è da augurarsi che si avvii una operazione con un esito positivo, non fosse altro per evitare di dar ragione agli eterni gattopardi sicuri che alla fine la strategia vincente è sempre cambiare tutto perché tutto resti più o meno come prima.

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