
La Festa del cinema di Roma cambia rotta. Sin dal primo giorno. Come dimostra la scelta di inaugurare la sua undicesima edizione con Moonlight, un piccolo film già passato e apprezzato al Sundance film festival. Piccolo come il suo protagonista: un ragazzino afroamericano, Chiron, che la camera sempre addosso di Barry Jenkins segue nel lungo e affannoso percorso che lo porta dall’infanzia all’età adulta. Sotto il chiaro di luna di una Florida molto lontana da quella tutta palme, surfisti ed esuli cubani che siamo abituati a vedere sul grande schermo e molto vicina invece a un qualsiasi sobborgo di una metropoli qualunque degli States. Tra gang, famiglie disgregate e un mood di machismo e omofobia che sicuramente non lo aiutano nel suo lento e timido coming out.
A colpire dell’opera seconda di Barry Jenkins - conosciuto per essere tra gli sceneggiatori della serie tv Leftovers - è soprattutto l’attenzione per i dettagli. L’uso della luce soffusa, la scelta dei colori pastello per lo sfondo, la macchina da presa sempre in movimento, l’insistenza sui primi piani contribuiscono a calare lo spettatore al centro della vicenda. Che vede uno dei sobborghi più malfamati di Miami, Liberty city, svolgere quasi un ruolo da co-protagonista. Accanto al piccolo Chiron. Che cerca affannosamente il suo posto al mondo. Senza una rete di protezione alle spalle. E senza neanche un nome con cui essere identificato. Visto che nel primo dei tre capitoli del film viene soprannominato “Little”. E nell’ultimo diventa “Black”.
Se crescere si rivela un passaggio cruciale per chiunque per Chiron lo è ancora di più. E non solo per la tormentata scoperta della sua omosessualità in un contesto tutt’altro che gay-friendly. Cresciuto senza padre e con una madre tossicodipendente il piccolo protagonista viene allevato e accudito dal capo di una banda di spacciatori, Juan (Mahershala Ali) e dalla sua empatica moglie, Theresa (Janelle Monáe). Ricevendo quei pochi e basilari insegnamenti di vita (e di strada) che gli consentono, da un lato, di resistere alle violenze e agli atti di bullismo a cui viene sottoposto. E, dall’altro, di raccogliere addirittura il testimone del suo padre putativo. Sebbene un migliaio di chilometri più a nord. Ad Atlanta.
Tutti questi elementi - combinati da Jenkins senza eccessi, senza manierismi, senza compiacimenti - consentono a Moonlight di arrivare dritto al cuore dello spettatore. E alla pancia. Sia che la linea d’ombra l’abbia già attraversata, sia che non ci sia ancora riuscito.
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