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Dossier Moonlight, quanto è difficile crescere sotto la luna della Florida

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Dossier | N. 24 articoliFesta del Cinema di Roma

Moonlight, quanto è difficile crescere sotto la luna della Florida

La Festa del cinema di Roma cambia rotta. Sin dal primo giorno. Come dimostra la scelta di inaugurare la sua undicesima edizione con Moonlight, un piccolo film già passato e apprezzato al Sundance film festival. Piccolo come il suo protagonista: un ragazzino afroamericano, Chiron, che la camera sempre addosso di Barry Jenkins segue nel lungo e affannoso percorso che lo porta dall’infanzia all’età adulta. Sotto il chiaro di luna di una Florida molto lontana da quella tutta palme, surfisti ed esuli cubani che siamo abituati a vedere sul grande schermo e molto vicina invece a un qualsiasi sobborgo di una metropoli qualunque degli States. Tra gang, famiglie disgregate e un mood di machismo e omofobia che sicuramente non lo aiutano nel suo lento e timido coming out.

A colpire dell’opera seconda di Barry Jenkins - conosciuto per essere tra gli sceneggiatori della serie tv Leftovers - è soprattutto l’attenzione per i dettagli. L’uso della luce soffusa, la scelta dei colori pastello per lo sfondo, la macchina da presa sempre in movimento, l’insistenza sui primi piani contribuiscono a calare lo spettatore al centro della vicenda. Che vede uno dei sobborghi più malfamati di Miami, Liberty city, svolgere quasi un ruolo da co-protagonista. Accanto al piccolo Chiron. Che cerca affannosamente il suo posto al mondo. Senza una rete di protezione alle spalle. E senza neanche un nome con cui essere identificato. Visto che nel primo dei tre capitoli del film viene soprannominato “Little”. E nell’ultimo diventa “Black”.

Se crescere si rivela un passaggio cruciale per chiunque per Chiron lo è ancora di più. E non solo per la tormentata scoperta della sua omosessualità in un contesto tutt’altro che gay-friendly. Cresciuto senza padre e con una madre tossicodipendente il piccolo protagonista viene allevato e accudito dal capo di una banda di spacciatori, Juan (Mahershala Ali) e dalla sua empatica moglie, Theresa (Janelle Monáe). Ricevendo quei pochi e basilari insegnamenti di vita (e di strada) che gli consentono, da un lato, di resistere alle violenze e agli atti di bullismo a cui viene sottoposto. E, dall’altro, di raccogliere addirittura il testimone del suo padre putativo. Sebbene un migliaio di chilometri più a nord. Ad Atlanta.

Tutti questi elementi - combinati da Jenkins senza eccessi, senza manierismi, senza compiacimenti - consentono a Moonlight di arrivare dritto al cuore dello spettatore. E alla pancia. Sia che la linea d’ombra l’abbia già attraversata, sia che non ci sia ancora riuscito.

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