Il rischio politico, non più quello economico o di politica monetaria, incombe sui mercati. Un rischio che potrebbe far impallidire anche Brexit. Alla ribalta è salito con il nervosismo stesso dimostrato dagli investitori che aspettano il voto delle presidenziali americane di martedì: l’indice Standard & Poor’s 500 ha terminato venerdì in ribasso, seppur di poco, la nona seduta consecutiva, la serie negativa più lunga in 36 anni, dal 1980. Il Vix, l’indice di volatilità e paura, è parallelamente aumentato per nove giornate di seguito, a sua volta una marcia record. E ad essere premiati, nella caccia alla protezione, sono stati i più classici dei beni rifugio, l’oro, rincarato del 3% in questo periodo, e le obbligazioni a brevissima scadenza.
Il rischio ha un nome: Donald Trump. Numerosi analisti ritengono che una vittoria del candidato repubblicano rappresenterebbe una scioccante sorpresa per Wall Street nonostante i sondaggi che lo vedono in rimonta. E che possa seriamente preoccupare, spingendo di getto in calo anche dell’8% gli indici azionari. Un successo di Hillary Clinton, vista come scelta di continuità sostanziale con il passato, sarebbe invece accolta con tranquillità, forse con un rialzo dettato da sospiri di sollievo dopo sedute tese.
Questo perché l’incertezza è da sempre la principale nemica del mercato. E di incertezza Trump ne provvede a valanghe. I programmi della Clinton sono pressoché delineati, aumenti delle imposte sui ceti più abbienti, maggior spesa pubblica, difesa delle regolamentazioni post-crisi. Il dubbio è solo su quanto otterrà in caso di vittoria, e questo non è necessariamente un male per i mercati: l’auspicio è che moderi la sua agenda trattando con i repubblicani in Congresso. Un esito ipotizzabile perchè, stando ai sondaggi, almeno la Camera dovrebbe comunque rimanere in mano ai conservatori e Clinton, ex parlamentare, ha già dimostrato di saper negoziare con gli avversari.
Con Trump, invece, le incognite non sono solo di programma ma di leadership: l’avversione al “free trade”, coltivata dalla stessa Clinton, brandita dall’outsider repubblicano potrebbe radicalizzarsi troppo facilmente in guerre o scontri commerciali. E sono possibili serie incomprensioni con Paesi amici dopo che ha minacciato di batter cassa per continuare a sostenere alleanze strategiche. Sul fronte domestico, le promesse di spese infrastrutturali cozzano con deficit record, visto che ha preso anche impegni a tagliare drasticamente le imposte. Qualcuno vede Trump abbaiare e non mordere, scommettendo che le sue azioni saranno meno estreme delle intenzioni. Ma l’economista del MIT Simon Johnson non esita a pronosticare spettri di crash e recessione globale. Meno drammatici e però ugualmente negativi nell’immediato come nel lungo periodo gli analisti Citigroup: un calo del 3-5% subito e rischi almeno di “frenate della crescita” davanti a restrizioni commerciali, fiscali e anche solo al “buio” dell’ignoto.
Clinton, agli occhi dei mercati, rassicura anche per i precedenti storici. Sotto presidenti democratici dal 1901 ad oggi la Borsa, misurata dall’indice Dow Jones, ha guadagnato in media il 7%, contro il 3% sotto Commander in chief repubblicani. Il Pil ha fatto meglio negli anni con una Casa Bianca democratica, svettando di 1,8 punti sopra la media delle amministrazione conservatrici. Contro Trump, insomma, i mercati hanno già votato ma, nonostante chi li ritenga onnipotenti, oggi non sanno se l'avranno vinta.
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