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Dossier Quella «middle class» frustrata che vota Trump

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Dossier | N. (none) articoliSpeciale America al voto

Quella «middle class» frustrata che vota Trump

Che cosa è successo all’America? Come è possibile che Donald Trump possa piacere a metà dell’elettorato a stelle e strisce?

Sarebbe tranquillizzante pensare che la sua ascesa sia il frutto di circostanze fortuite di un processo selettivo andato in tilt. E soprattutto che basti la vittoria di Hillary Clinton perché quell’incubo sia scacciato per sempre. Ma sarebbe sbagliato.

La realtà è che, comunque vada a finire martedì, quell’elettorato arrabbiato, isolazionista e in buona parte anche xenofobo rimarrà in campo. Perché non è il risultato, bensì la causa del successo di Trump.

Parliamo di milioni di persone di classe sociale e istruzione medio-bassa. E di razza bianca. Quella che negli anni 30 si usava chiamare la working class e che dagli anni 50 è diventata la middle class. Insomma la categoria di americani medi messa al tappeto dall’uno-due subìto con il simultaneo avvento della deindustrializzazione e del “diverso” - messicano o afroamericano, femminista o transgender – che ha raggiunto l’apice dell’intollerabilità con l’elezione alla Casa Bianca del figlio di un keniota.

LA CRISI DELLA «MIDDLE CLASS»
La ripartizione delle famiglie, in % e Il reddito medio annuo delle famiglie, in $ (Fonte: Pew Research Center)

Che questi milioni di persone stiano male è un dato di fatto, non un’opinione. Tra il 1999 e il 2014 la classe media non solo si è ristretta ma ha dovuto stringere la cinghia: si è infatti allargata la fascia dei più ricchi e quella dei più poveri, e il reddito mediano della classe media è sceso dai 77.898 dollari del 1999 ai 72.919 del 2014.

Per un Paese costruito attorno al “sogno americano” della mobilità sociale verso l’alto, trovarsi vittima del trend opposto in seguito alla delocalizzazione industriale non poteva non avere un impatto drammatico. In stati come il Wisconsin, l’Ohio, il Michigan, il Minnesota e la Pennsylvania, dove per decenni industrie e sindacati hanno garantito il benessere a generazioni di operai e impiegati fermatisi alla scuola dell’obbligo, la disoccupazione è sì oggi tenuta a freno dalla grande flessibilità del mercato del lavoro, ma il sogno americano è evaporato con l’avvento dell’economia del contratto a termine senza benefit e soprattutto senza sicurezze.

Secondo l’antropologo David Gilmore il senso d’identità e di autostima dell’uomo americano bianco di ceto e istruzione medio-bassi, quindi socialmente debole, ruota soprattutto attorno a due fattori: il suo status personale di breadwinner, cioè di sostenitore economico della famiglia, e il suo status nazionale di membro dell’etnia dominante, quella di chi siede nell’Ufficio Ovale. Nel momento in cui la deindustrializzazione gli ha portato via la possibilità di essere – o diventare – breadwinner, e Barack Obama gli ha sottratto la Casa Bianca, un numero significativo di questi uomini sono diventati facile preda di una mascolinità tossica segnata da pulsioni o comportamenti distruttivi, che vanno dalla xenofobia all’uso di droga.

Studi recenti attestano che, negli ultimi anni, nelle comunità bianche si sono diffuse vere e proprie epidemie di diversi tipi di droga un tempo tipiche dei ghetti. Non parliamo infatti solo di anfetamine e di oppioidi, ma anche di eroina. Si è registrato inoltre uno straordinario aumento del tasso dei suicidi. Gli economisti Anne Case e Angus Deaton hanno rilevato che l’aumento dei suicidi e dei decessi legati all’abuso di alcol e droga è stato così significativo da aver fatto scendere le aspettative di vita dei bianchi “socialmente deboli” di età compresa tra i 45 e i 54 anni.

Questo fenomeno non è stato registrato in nessun altro Paese occidentale, nonostante lo scotto della globalizzazione lo stiano pagando un po’ tutti. La spiegazione è data da quegli stessi fattori che hanno alimentato la rabbia politica canalizzata in questi mesi da Donald Trump. Parliamo della mancanza della rete di supporto psicologico e sociale fornita dal welfare state nel Nord Europa e dalle famiglie nell’Europa mediterranea.

Un Paese nato attorno al mito darwinistico della Frontiera e cresciuto con la cultura dell’individualismo e dell’auto-fiducia offre pochi spazi, e poco supporto, a chi fa fatica a stare in corsa, a chi barcolla, o peggio al “perdente” della grande competizione globale.

Lo studioso Andrew Cherlin, professore di politiche sociali dell’Università della California a Los Angeles, ha notato che al declino della working class è tra l’altro corrisposto un declino dell’unità familiare, con un forte aumento dei divorzi tra i disoccupati. «La perdita di posti di lavoro stabili e ben retribuiti tra gli americani meno istruiti contribuisce a spiegare il crescente divario con gli americani più istruiti nel mantenimento dell’unità familiare. Non avendo più lo stesso accesso a posti di lavoro dignitosi, queste persone hanno molte meno probabilità di essere ritenute dei buoni candidati per il matrimonio, di agire in modo da diventarlo, o di rimanere sposate se lo sono» spiega Cherlin, secondo il quale l’ineguaglianza economica porta all’ineguaglianza matrimoniale, creando un pericoloso circolo vizioso. La mancanza di un contesto “protettivo”, collettivo o familiare, riduce le difese psicologiche oltre che economiche portando verso l’isolamento e l’alienazione. Le cui conseguenze politiche sono frustrazione e rabbia. Come ha spiegato lo storico Jefferson Cowie, dalla solidarietà una parte della working class è così «regredita verso il tribalismo razziale».

Da decenni in America, per chi è geograficamente, socialmente ed economicamente lontano da Wall Street e da Silicon Valley, il futuro è ricco solo di incertezza e preoccupazione. E come ci si può aspettare che un elettorato convinto di essere stato lasciato alla mercé di aggressioni esterne (siano i messicani o i concorrenti industriali del Terzo e Quarto Mondo) decida di votare per una candidata che è l’assoluta personificazione dell’establishment politico-sociale-economico che lo ha abbandonato? Soprattutto quando questo elettorato viene bombardato da messaggi di predicatori radio-televisivi che soffiano sul fuoco del risentimento sottolineando sia la propensione al magheggio segreto del clan dei Clinton, rappresentato dall’utilizzo di un server privato per le email di Stato, sia ai rapporti incestuosi tra potere e affari globali, perfettamente illustrati dagli intrecci tra i due Clinton, la loro fondazione e la società di consulenza creata da Douglas Band, il più stretto collaboratore di Bill.

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