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Dossier Populismi, un boom figlio della paura

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Dossier | N. 40 articoliI rapporti della Fondazione Hume

Populismi, un boom figlio della paura

Un immigrato afghano fermato a Gevgelija, al confine tra Grecia e Macedonia
Un immigrato afghano fermato a Gevgelija, al confine tra Grecia e Macedonia

Disertando questa settimana l’apertura del processo per istigazione all’odio razziale a suo carico, il leader populista olandese Geert Wilders ha parlato di «processo farsa» e ha diffuso una dichiarazione emblematica: «Come politico ho il diritto di dire ciò che penso, che è poi quello che pensano milioni di olandesi». Ossia che nei Paesi Bassi esiste un problema legato alla criminalità degli immigrati marocchini.
La vicenda del leader anti-Islam, denunciato perché nel 2014 promise alla folla provvedimenti per ridurre la presenza dei marocchini nel Paese, tocca il cuore del secondo dossier realizzato dalla Fondazione Hume per Il Sole 24 Ore sull’avanzata dei movimenti antisistema in Europa: da cosa dipende la sintonia dei loro leader con l’elettorato? quali sono le radici di questa crescita? ha pesato di più la crisi economica, il flusso record di immigrati o, ancora, la paura del terrorismo? La conclusione a cui lo studio giunge, evitando la lente deformante dell’ideologia attraverso l’utilizzo di controlli matematico-statistici sulle variabili in gioco, è che a incidere è stato ed è un mix di questi fattori e, soprattutto, la percezione che della difficile realtà socio-economica (e del rischio terrorismo) hanno i cittadini dell’Unione europea.

Il perimetro della ricerca è lo stesso del primo dossier: tutti i movimenti politici catalogabili come populisti e/o euroscettici con almeno un seggio all’Europarlamento. Dopo una sintetica rassegna dei partiti così catalogati che hanno registrato le migliori performance tra il 2009 e il 2014 – Front National in Francia, Ukip in Gran Bretagna, Movimento 5 Stelle in Italia, Alternative für Deutschland in Germania, Syriza in Grecia, Podemos in Spagna, PiS in Polonia, FPÖ in Austria, Partito del Popolo in Danimarca – lo studio si concentra sulla risposta agli interrogativi sopra enunciati, cominciando da una fondamentale domanda preliminare: chi sono i populisti? La Fondazione Hume individua tre caratteristiche comuni a questi movimenti: il progetto di «ricostruire la vera democrazia in cui il popolo possa avere il controllo sulla politica»; la presenza di un leader che diventa una «figura mitica e mitizzata, portavoce delle istanze popolari»; programmi «spesso fondati sulla regola del buon senso», che offrono soluzioni semplici (ma spesso anche vaghe) a problematiche complesse: punto, quest’ultimo, che spiega anche la difficoltà a mantenere consensi nel momento in cui questi partiti vanno al governo, come evidenzia per esempio il recente calo di popolarità di Syriza in Grecia.

GLI INGREDIENTI DEL COCKTAIL POPULISTA
(Fonte: elaborazioni Fondazione Hume su dati Eurostat ed Eurobarometro,2014)

Non è difficile ravvisare in queste caratteristiche tanti dei volti che hanno riempito le cronache di questi mesi: la candidata alla presidenza della Repubblica francese Marine Le Pen in Francia, l’ormai ex leader di Ukip Nigel Farage, uomo simbolo della Brexit, l’artefice della svolta populista e xenofoba di AfD in Germania, Frauke Petry, il già citato Wilders in Olanda, il cui Partito della libertà è ai primi posti nei sondaggi per le elezioni politiche del marzo prossimo; e ancora, a sinistra, Alexis Tsipras in Grecia o il leader di Podemos Pablo Iglesias in Spagna.
La ricerca entra però nel vivo quando cerca di analizzare le cause del boom euroscettico e populista. È noto che a determinarlo abbiano contribuito crisi economica ed emergenza rifugiati, una «bolla di insoddisfazione» sfruttata abilmente dai movimenti anti-sistema; il rischio è tuttavia che l’ideologia faccia accentuare il peso di un fattore (i migranti, secondo una visione più di destra) o dell’altro (la crisi e l’austerity, per la sinistra). Di qui l’elaborazione da parte della Fondazione Hume di una serie di indici oggettivi, che permettano di valutare meglio le forze in gioco: livello di benessere economico dei 28 Paesi Ue, impatto della crisi finanziaria, quota di popolazione straniera, tasso di criminalità relativo degli immigrati e quote di persone che considerano l’immigrazione un problema.

I due modelli ricavati dall’esame degli indici confermano che l’impatto della crisi finanziaria ha favorito l’avanzata dei partiti populisti ed euroscettici tra il 2009 e il 2014, ma forniscono anche qualche interessante sorpresa. L’altra variabile che ha inciso, potenziando l’effetto della crisi, è infatti l’immigrazione, ma non tanto in termini oggettivi quanto, piuttosto, in termini soggettivi: ha pesato cioè «più la preoccupazione per gli stranieri che la loro pericolosità effettiva» (come evidenzia il secondo grafico sulla paura per gli immigrati pubblicato a fianco), con i movimenti populisti pronti a scagliarsi contro «un’Europa senza frontiere». Preoccupazione che negli ultimi tempi ha sempre più assunto i contorni della paura per il terrorismo. «Ciò suggerisce – conclude la ricerca – che l’avanzata delle forze populiste» si è nutrita del «progressivo instaurarsi, nella mente di molti cittadini, di una sorta di equazione che collega criminalità, immigrazione e terrorismo».
Un’equazione che è poi quella di Wilders, quando dice di esprimere il sentimento di milioni di suoi connazionali. O come quando – in un’intervista concessa al Sole 24 Ore nel marzo 2015 – si diceva fiero di essere populista «se populista significa che ascolti più la gente che i tuoi colleghi in Parlamento e che cerchi di prendere seriamente i problemi ignorati di tante persone».

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