I nuovi articoli 589 ter e 590 ter del Codice penale hanno introdotto due circostanze aggravanti che possono comportare aumenti di pena che riguardano tutti i conducenti, e non solo quelli di veicoli a motore che, dopo avere causato un incidente con morti o feriti, si siano dati alla fuga. Di conseguenza, l’aggravante può scattare anche per un ciclista.
Gli aggravi di pena subiscono un ulteriore irrigidimento in virtù dell’automatismo, introdotto dall’articolo 590 quater, nel meccanismo di bilanciamento delle circostanze, che impone il divieto di concessione delle attenuanti anche in relazione alle ipotesi di omicidio stradale e lesioni personali stradali di cui al comma 1 degli articoli 589 bis e 590 bis – cioè nei casi di violazione “generica” delle norme sulla circolazione stradale – se il conducente si è dato alla fuga.
• La conseguenza è un severo mutamento del panorama sanzionatorio, che incide particolarmente sulle ipotesi non altrimenti aggravate: per l’omicidio stradale caratterizzato dalla “sola” violazione “generica” delle norme del Codice della strada (articolo 589 bis, comma 1), ma aggravato dalla fuga, la pena base non potrà infatti mai scendere sotto i 5 anni, mentre, negli stessi casi, per le lesioni personali stradali (articolo 590 bis, comma 1) non potrà essere inferiore a 3 anni. Il che non è certo poco se si pensa che:
• Il minimo di pena per l’omicidio stradale di cui all’articolo 589 bis comma 1 è di 2 anni, e l’aggravante della fuga del conducente la fa di colpo aumentare di oltre il doppio;
• Il minimo della pena per il reato di cui all’articolo 590 bis, comma 1, è di 3 mesi per le lesioni gravi, e di 1 anno per le gravissime, e perciò il conducente che fugge rischia – per ciò solo – di subire una pena più che triplicata. Senza considerare che i reati di cui agli articoli 589 bis, comma 1, e 590 bis, comma 1, possono essere commessi «da chiunque», e non solo da «conducenti di veicoli a motore», mentre le nuove aggravanti, pur richiamando gli articoli 589 bis e 590 bis senza distinzioni di sorta, sanzionano unicamente la fuga del «conducente». Tutto ciò sembra confliggere con i principi di proporzione e ragionevolezza che dovrebbero sempre guidare la mano del legislatore - soprattutto quando incide sulla libertà personale - e espone le nuove norme a un alto rischio di (condivisibile) censura di costituzionalità.
E non è tutto. La circostanza aggravante in questione (che riguarda reati di natura colposa, e perciò involontaria, quali espressamente sono l’omicidio e le lesioni stradali) è caratterizzata dalla volontarietà, e dunque dal dolo: il che, e ben vedere, è un indice significativo di irrazionalità della scelta di politica criminale e di asistematicità della tecnica legislativa. Senza contare che, alla luce dei draconiani aumenti di pena, si potrà verificare con frequenza una sorta di “processo nel processo” dedicato ad accertare se, effettivamente, l’autore di un incidente si sia reso conto di avere cagionato un incidente e sia poi volontariamente scappato.
L’assenza di volontarietà della fuga non è certo un’ipotesi peregrina, soprattutto nei casi di lesioni personali stradali caratterizzate dalla violazione “generica” delle norme sulla circolazione stradale: dove non si può aprioristicamente escludere l’inconsapevolezza, da parte del conducente, di avere cagionato un urto. Nell’immediatezza, peraltro, le lesioni possono apparire assenti, oppure lievi, e solo con il passare del tempo possono superare la prognosi dei 40 giorni che la fa diventare gravi. Ma le considerazioni critiche non si esauriscono qui.
Le nuove norme, infatti, non incoraggiano certo l’autore di un incidente a fermarsi per prestare soccorso alle vittime, soprattutto se oltre ai feriti ci sono anche dei morti. Il che, a ben vedere, è decisamente paradossale. Si pensi, al proposito, che il riformato comma 8 dell’articolo 189 del Codice della strada – che non a caso ha avuto un travagliato iter parlamentare - esclude l’arresto in flagranza solo nei confronti dell’autore di lesioni personali stradali che si sia fermato dopo l’incidente. Tale norma di favore (e di buon senso) non vale però nei casi di omicidio, nei quali il conducente – anche se si è fermato e ha prestato assistenza ad altri feriti coinvolti nell’incidente – va dritto in carcere in attesa del processo.
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