Se durante una corsa illegale si verifica un incidente mortale, il “vecchio” reato di omicidio colposo con violazione delle norme sulla circolazione stradale può concorrere con quello di gara in velocità (articolo 9-ter Codice della Strada). A condizione che si dimostri che la morte sia conseguenza diretta e immediata di un'infrazione diversa e ulteriore rispetto alla violazione del divieto di gareggiare in velocità. Lo dice la Cassazione, nella sentenza 16610/2016, che pare applicabile anche al “nuovo” reato di omicidio stradale, introdotto per gli incidenti accaduti dal 25 marzo. Anzi, in questi ultimi casi, l'interpretazione della Corte sembra rimediare a una “svista” del legislatore, che non ha previsto la gara proibita tra le ipotesi in cui c'è omicidio stradale “aggravato”.
Questi i fatti: tre automobilisti avevano gareggiato su un raccordo autostradale urbano con «reiterati e reciproci sorpassi, guidando pericolosamente, spostandosi repentinamente» di corsia e «comunicando l'un l'altro goliardicamente con reiterati colpi di clacson». In una galleria l'auto che era in testa aveva tamponato una vettura estranea in cui viaggiavano un bimbo, che moriva, e due adulti, rimasti feriti.
Gli imputati hanno percorso diverse strade processuali: l'autore del tamponamento ha scelto il rito ordinario, gli altri due l'abbreviato, finito con la sentenza della Cassazione. I giudici di merito avevano ritenuto che l'incidente fosse dovuto al mancato rallentamento entrando in galleria da parte del tamponante, istigato dai due avversari che lo tallonavano. Il passaggio repentino al buio aveva impedito di vedere l'auto tamponata.
I ricorrenti erano stati condannati a quattro anni per gara proibita con morte e lesioni (articolo 9-ter, comma 2, del Codice della strada), più quattro per omicidio colposo con violazione delle norme della circolazione. La Cassazione - riqualificando il reato in quello meno grave di gara proibita (articolo 9-ter, comma 1) - è partita dal presupposto che non si può addebitare due volte a una persona la morte di un'altra, come aveva fatto la condanna sia per gara con morte sia per omicidio colposo.
Ma la Corte, visti i fatti, ha pure escluso che l'omicidio colposo dovesse essere assorbito dal delitto di gara con morte: la condotta di guida su cui si sorreggeva l'omicidio colposo non era «perfettamente sovrapponibile» alla gara con morte. La causa diretta dell'incidente era infatti da trovare non tanto nello svolgimento della gara, ma nel mancato rallentamento entrando in galleria, definito di «assoluta centralità nella catena causale».
Il principio è condivisibile: àncora la responsabilità per la morte all'effettiva condotta colpevole dell'agente e allontana il rischio di sconfinare nella responsabilità oggettiva causata da un'applicazione troppo rigida del reato di gara con morte.
Inoltre, così si contempera il principio di colpevolezza con le esigenze di difesa sociale alla base del nuovo reato di omicidio stradale: esso, nella versione “aggravata” dall'aver commesso infrazioni che non di rado si verificano in una gara proibita, prevede la pena base della reclusione da 5 a 10 anni. Una pena sulla carta simile a quella prevista dall'articolo 9-ter in caso di gara con morte (da 6 a 10 anni), ma che in concreto può essere ben superiore perché le si somma quella per il reato di gara proibita e, se c'è fuga (come nella vicenda in questione), scatta l'aumento di pena (da un terzo a due terzi) previsto dalle nuove norme sull'omicidio stradale.
L'interpretazione della Corte evita anche, per il futuro, un possibile paradosso per le corse illegali con morti: pene più miti di quelle nuove sull'omicidio, nelle quali tali corse non sono tra le gravi infrazioni che fanno scattare le ipotesi aggravate.
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