Con l’introduzione del reato di omicidio stradale (legge 41/2016), cresce l’importanza delle scienze forensi. Così emergono alcuni aspetti inadeguati della normativa che disciplina le modalità di accertamento delle condizioni fisiologiche del conducente e in particolare l’uso di alcol o droga (ipotesi in cui le pene per omicidio e lesioni stradali sono le più alte). «Il Sole 24 Ore» lo ha scritto più volte anche prima dell’approvazione definitiva della legge e ora uno studio dell’Università di Trieste lo conferma, evidenziando con efficacia – sotto il profilo medico legale - tali inadeguatezze e illustrando come la giurisprudenza ha cercato di risolvere i problemi che ne sono derivati. In ogni caso, le conseguenze penali di un incidente con morti o feriti possono rivelarsi devastanti.
Lo studio ricorda che l’attuale panorama legislativo indica solo «le previsioni generali a supporto delle condotte considerate», ma è carente di «una standardizzazione delle procedure da adottare»: una mancanza che ha già causato «verdetti contrastanti», e ha reso «necessarie ulteriori puntualizzazioni giurisprudenziali e metodologiche».
Si vuole perciò dimostrare che «le criticità, relative principalmente alle modalità di acquisizione e di interpretazione degli elementi di prova clinico/strumentali, possono rappresentare un concreto ostacolo all’equo inquadramento giudiziario di ciascun singolo caso», le cui conseguenze - alla luce degli eccezionali aumenti di pena introdotti dalla legge 41/2016 – possono oggi dare adito a disomogeneità sanzionatorie ancor più marcate e ingiuste.
Per quanto concerne l’accertamento delle condizioni di ebbrezza alcolica, la procedura descritta dal Codice della strada «risulta complessivamente standardizzata sia quando si ricorra all’utilizzo dell’etilometro, sia con riferimento all’analisi alcolemica eseguita in contesto ospedaliero. Tuttavia, a fronte di possibili soluzioni condivise, possono concretizzarsi comunque delle situazioni nelle quali l’interpretazione del solo dato strumentale può essere influenzata da alcune variabili».
Una di queste variabili può essere legata al momento dell'accertamento, come dimostra una recente sentenza della Cassazione (la n. 19176/2016), che ha annullato una decisione della Corte di appello di Caltanissetta in cui i giudici avevano ritenuto che la condotta del conducente dovesse rientrare nella fascia più grave (lettera c) dell’articolo 186 del Codice della strada) nonostante i valori rilevati dall’accertamento rientrassero nel più mite range enunciato dalla lettera b: ciò in base al presupposto che il lasso temporale intercorso tra l’incidente e l’accertamento – che aveva dimostrato un andamento decrescente nei valori alcolemici – era stato sufficientemente ampio da poter concludere che, se l’analisi fosse stata eseguita al momento del sinistro, il soggetto avrebbe avuto una concentrazione alcolemica superiore a quella rilevata.
Criticità ancor maggiori possono presentare i casi in cui il conducente sia sospettato di avere causato l’incidente sotto l’effetto di droghe, dato che le modalità accertative non risultano essere standardizzate «con riferimento a quali matrici biologiche siano idonee a consentire una valutazione circa l’attualità d’uso, agli strumenti analitici da utilizzare, e a quali elementi clinici debbano essere valutati ai fini della dimostrazione della condotta».
Dallo studio emerge l’opportunità di riservare alla valutazione clinica del personale sanitario l’accertamento dello stato di alterazione del conducente, e la sua rilevanza causale sull’incidente, onde evitare severe condanne e arresti in flagranza – la cui estesa previsione è una delle novità più discusse della legge 41/2016 - in base unicamente alla rilevazione di generici indici sintomatici da parte delle forze dell’ordine.
L’approssimazione nell’accertamento dello stato di alterazione rischia infatti di causare limitazioni della libertà personale destinate a infrangersi contro il rigoroso perimetro con cui la Cassazione ha delineato il nesso di causalità tra la condizione fisiologica del conducente e l’incidente, stabilendo che non è sufficiente provare che, precedentemente al momento in cui lo stesso si è posto alla guida, egli abbia assunto stupefacenti, perché va dimostrato che egli guidava in stato di alterazione causato da tale assunzione (sentenza n. 3623/2016).
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