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Dossier Francia, le sei sorprese della corsa all’Eliseo

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    Dossier | N. (none) articoliLa Francia sceglie il Presidente: un voto storico

    Francia, le sei sorprese della corsa all’Eliseo

    PARIGI - L’assenza del partito socialista al ballottaggio nel 1969, la vittoria del “giovane” centrista (ma appoggiato dai neogollisti) Valéry Giscard d’Estaing nel 1974, lo shock del 2002, con il frontista Jean-Marie Le Pen al secondo turno.

    Le presidenziali francesi hanno certo riservato dei colpi di scena anche in passato, ma mai tante sorprese come quest’anno. Tali da impedire, alla vigilia del voto, qualsiasi pronostico affidabile. Offrendo, in cambio, la certezza di una quota di elettorato anti-sistema (oltre il 40%, sommando le intenzioni di voto per Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon) che in una corsa all’Eliseo non è mai stata così alta. E la concreta possibilità che, per la prima volta dal 1958, siano escluse dal secondo turno le due forze politiche che hanno incarnato il bipolarismo della Quinta Repubblica (i socialisti e la destra gollista).

    Allora ricordiamole, seppure in sintesi, queste sorprese. Attraverso alcuni episodi chiave degli ultimi mesi.

    Le primarie della destra
    Tutti gli osservatori scommettevano su un duello tra l’ex presidente Nicolas Sarkozy e l’ex premier Alain Juppé, che incarnavano rispettivamente l’anima della destra dura e quella centrista moderata dei Républicains. E invece, dopo aver umiliato al primo turno Sarkozy (terzo con il 20,6%), il 27 novembre François Fillon ha nettamente battuto al ballottaggio (con il 66%) Juppé. Con il 26-29% nei sondaggi a fine dicembre, l’ex capo del Governo nel quinquennio di presidenza Sarkozy sembrava destinato a una vittoria sicura alle presidenziali. In molti avevano d’altronde definito le primarie della destra come una presidenziale anticipata.

    La rinuncia di Hollande
    È il 1° dicembre. Con uno dei discorsi più belli del suo mandato, François Hollande annuncia che non si candiderà alla propria successione. Non era mai accaduto. A convincerlo sono stati gli indici di impopolarità (all’11%, un record negativo storico) e le pressioni all’interno del proprio partito: da una parte i “frondisti” di sinistra, sempre più numerosi, e dall’altra il premier Manuel Valls, che pochi giorni prima ha dichiarato di essere pronto a candidarsi.

    Il Penelopegate
    Il 25 gennaio il settimanale “Le Canard Enchainé” rivela che la moglie di Fillon – la quale ha sempre dichiarato di non essere mai stata l’assistente di suo marito e di non conoscere il francese (è gallese) così bene da parlare al telefono – è stata lautamente retribuita per 12 anni proprio come assistente parlamentare prima di Fillon e poi del suo successore alla Camera, incassando oltre 800mila euro. Fillon ha inoltre accettato come regalo da un «amico» avvocato alcuni abiti da 6.500 euro. La reazione dell’ex premier è alquanto maldestra. Passeranno due settimane prima che si scusi per «gli errori», pur rivendicando di non aver commesso dei reati. Indagato in marzo – per appropriazione indebita di fondi pubblici – crolla nei sondaggi, precipitando al terzo posto con il 17% (anche se il suo calo era già iniziato con il progetto di tagli del welfare, mal percepiti in un Paese che rappresenta il 15% della spesa sociale mondiale con appena l’1% della popolazione). Molti dirigenti dei Républicains lo abbandonano. Salva la pelle grazie alla manifestazione del 5 marzo al Trocadero – una vera prova di forza – e alla rinuncia di Juppé a sostituirlo in corsa.

    Le primarie dei socialisti
    Ancora una volta gli osservatori si sbagliano clamorosamente: avevano immaginato uno scontro tra l’ex ministro dell’Economia Arnaud Montebourg e Valls e invece, il 29 gennaio, a vincere (con il 59%) è il leader della sinistra (e dei frondisti) Benoit Hamon. Il quale parte abbastanza bene (è al 14% nei sondaggi) ma fa del reddito minimo universale il suo cavallo di battaglia, che gli aliena rapidamente il sostegno dei moderati del partito (i quali gli preferiscono Macron) e lo spinge ancora più a sinistra, dove non può competere con il più abile avversario Mélenchon.

    L’ascesa di Macron
    Vero outsider di questa campagna elettorale, l’ex ministro dell’Economia (ed ex banchiere d’affari) Emmanuel Macron, 39 anni, aveva costituito il suo movimento “En Marche!” - anti-partiti, «né di destra né di sinistra» – in aprile, si era dimesso da Bercy in agosto e aveva formalizzato la propria candidatura a metà novembre. Ma la vera svolta arriva il 22 febbraio, quando si allea con il centrista François Bayrou (uno che comunque nel 2007 aveva preso il 18%). Da quel momento Macron inizia a volare nei sondaggi e stacca definitivamente Fillon. Fino a diventare il favorito del 7 maggio (sempre che superi lo scoglio del 23 aprile). Spinto dalla voglia di rinnovamento che c’è nel Paese (non è un politico di professione, contrariamente ai suoi avversari, e non ha mai partecipato a un’elezione).

    Il fenomeno Mélenchon
    Grazie alle sue impressionanti doti di tribuno, il suo carisma, le ottime prestazioni televisive e il ricorso alle nuove tecnologie della comunicazione, il vecchio rivoluzionario Jean-Luc Mélenchon (65 anni) prima raggiunge Hamon nei sondaggi e poi lo lascia indietro diventando il quarto (o terzo) candidato ad avere una concreta possibilità di andare al ballottaggio. È riuscito ad attirare i consensi di una parte della sinistra socialista e a capitalizzare l’uscita di scena dei vecchi dirigenti trozkisti (i movimenti dell’estrema sinistra sono scesi dall’8-9% all’1,5-2%).

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