Da una parte i grandi centri urbani e dall'altra i paesi e la campagna. Da una parte l'Ovest più ricco e dall'altra l'Est impoverito dalla crisi. La mappa del voto al primo turno delle presidenziali francesi evidenzia con grande efficacia il nuovo bipolarismo che si è creato nel Paese. A quello politico che ha caratterizzato la storia recente della Francia (dal 1965 a oggi) se n'è sostituito uno – sociale e culturale – più radicale. Quello tra una Francia ottimista, aperta, volontarista, europeista, meticcia e laica – incarnata da Emmanuel Macron. E una Francia impaurita, in difesa, malmostosa, nostalgica, statalista, bianca e cattolica – incarnata da Marine Le Pen. Che nel frattempo, in vista del ballottaggio, si è dimessa da presidente del Front National, il partito fondato dal padre, spiegando che in questo modo «sarò al di sopra delle considerazioni di parte».
È alquanto probabile che alla fine vinca la prima. Ma da oggi si apre una nuova campagna elettorale. E per Macron non sarà una passeggiata. Rispetto al 2002, quando ci fu lo shock dell'eliminazione del candidato socialista e del passaggio al secondo turno di Jean-Marie Le Pen, lo scenario è completamente cambiato. Oggi, la figlia Marine può contare su un serbatorio di voti che 15 anni fa non esisteva.
Per lei voterà una parte della destra storica. E persino della sinistra radicale, che vede in Macron un nemico ancora peggiore rispetto al Front National. Il cui programma ha d'altronde molti punti in comune con quello di Jean-Luc Mélenchon. Che non a caso ha preferito evitare di dare un'indicazione di voto per il secondo turno.
Sarà un duello durissimo, all'ultima scheda. E se è appunto probabile un successo di Macron, il divario sarà quasi certamente più piccolo di quanto non dicono oggi i sondaggi. E quella di domenica 7 maggio sarà un'altra giornata di suspense.
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