Non tutte le irregolarità della sede stradale o di un marciapiede, per avvallamenti o rilievi, che possono essere determinati dalle circostanze più varie, è tale da far configurare di per sé la responsabilità dell’amministrazione nell’eventualità di un incidente. È questo il principio generale che guida le decisioni dei giudici sulle (tante) cause intentate per chiedere il risarcimento dei danni da cadute. E la Corte d’appello di Milano, con la sentenza 527 dell’8 febbraio scorso (presidente Sbordone), lo ha applicato anche al caso di un pedone che ha messo il piede in una grossa buca sul marciapiede rovinando a terra e procurandosi lesioni permanenti a seguito della rottura del quinto metacarpo della mano destra.
La Corte, nel ritenere non configurabile la responsabilità del Comune per violazione del precetto che regola la responsabilità civile da fatto illecito contenuto nell’articolo 2043 del Codice civile (che si ispira all’antico brocardo «neminem laedere»), osserva che l’evento «caduta accidentale» sia da ascrivere allo stesso pedone ogni qual volta possa valutarsi che la sua condotta non accorta sia stata causa esclusiva del fatto.
Indici oggettivi di valutazione della condotta del pedone possono essere, ad esempio, proprio l’ampiezza della buca sul manto stradale e la sua visibilità in presenza di luce naturale, se siano tali da indurre il giudice a ritenere la situazione non pericolosa né insidiosa per un utente della strada che adotti l’ordinaria diligenza.
Perché, infatti, possa essere condannato l’ente custode della sede viaria, occorre che il giudice possa accertare l’obiettiva condizione di pericolo occulto, situazione la quale «deve essere necessariamente caratterizzata dal doppio requisito della non riconoscibilità oggettiva del pericolo e della non prevedibilità subiettiva del pericolo stesso, non facilmente evitabile con l’adozione della ordinaria diligenza».
Detto in altre parole, la costante giurisprudenza anche della Cassazione (si vedano, tra le altre, le sentenze 287 del 2015 e 23919 del 2013) propende per un obbligo di diligenza generale al quale si deve uniformare la condotta di ognuno di noi nelle vicende della vita quotidiana, al punto che quanto più l’insidia sia grande e avvistabile per un pedone, tanto più si dovrà presumere che l’accidentale caduta sia legata alla sua colpevole distrazione e non alla pericolosità occulta e intrinseca dello stesso ostacolo.
Il giudizio, insomma, sull’autonoma idoneità causale del fattore esterno ed estraneo alla sfera di influenza della vittima deve essere adeguato alla natura e alla pericolosità della cosa in sé: quanto meno la stessa sia intrinsecamente pericolosa e quanto più la situazione di potenziale pericolo possa essere prevista e superata con l’adozione delle cautele normali da parte del danneggiato, tanto più l’incidente si deve considerare dovuto a un comportamento distratto.
In definitiva – conclude la Corte d’appello – «tanto nel caso in cui si deduca una responsabilità dell’amministrazione ai sensi dell’articolo 2043 del Codice civile, tanto in quello in cui possa ravvisarsi una responsabilità oggettiva ai sensi dell’articolo 2051 del Codice civile, l’esistenza di un comportamento colposo dell’utente danneggiato esclude la responsabilità dell’amministrazione medesima, qualora si tratti di un comportamento idoneo a interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso».
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