Recepita in extremis con il decreto del ministero dei Trasporti 214 del 19 maggio scorso, la direttiva 2014/45 Ue con le nuove regole per la revisione periodica degli autoveicoli entrerà in vigore il 20 maggio 2018. Ma già oggi fa discutere per vari aspetti. Uno dei più interessanti per gli operatori riguarda la nuova figura dell’ispettore autorizzato, che sostituisce quella dell’attuale responsabile tecnico revisioni: è lui che garantisce il requisito di terzietà richiesto dalla direttiva in un Paese come l’Italia che 25 anni fa, al momento di decidere come affidare le revisioni ai privati, ha scelto di includervi anche le normali officine di autoriparazione, che sono in conflitto d’interesse perché per far superare il test potrebbero imporre di effettuare interventi sul veicolo.
La terzietà è realizzata dal Dm stabilendo che l’ispettore deve essere estraneo all’eventuale attività di riparazione svolta dal centro e quindi non può essere il responsabile tecnico dell’officina . Questa è la maggior fonte di polemiche. Anche se dal punto di vista dei requisiti inizialmente cambierà poco o nulla (il ministero potrà introdurre requisiti supplementari specifici in materia di competenza e formazione): tutti gli attuali responsabili tecnici dei centri revisioni saranno confermati nel ruolo di ispettore, salvo che siano anche responsabili tecnici dell’eventuale officina riparazioni. Per gli aspiranti al ruolo sarà invece necessario avere una serie di conoscenze tecniche specifiche, almeno tre anni di esperienza documentata e una formazione appropriata per acquisire il certificato di abilitazione.
Il problema nasce dal fatto che l’articolo 13, comma 3, del Dm richiede di assicurare un elevato livello di imparzialità e di obiettività, ma non riprende il testo della direttiva relativo al compenso dell’ispettore (che non deve essere direttamente collegato ai risultati dell’attività di revisione) e quello relativo alla separazione dell’attività di revisione da quella di riparazione.
È chiaro che uno degli obiettivi della direttiva è di disciplinare l’attività di revisione distinguendo tra centri di revisioni senza officina e quelli che operano all’interno di strutture di riparazione. Non è un segreto che l’Ue non ha mai visto di buon occhio questi ultimi e che la materia è delicata a causa degli interessi collegati, che si allargano anche al ricco mercato delle attrezzature.
Secondo un documento congiunto dei Centri di revisione aderenti alle confederazioni di categoria, in Italia su 8.159 centri di revisione in attività ben 5.138 (il 63%) effettua mediamente 2.250 revisioni annue, cioè meno di 10 al giorno, considerando 12 mesi di attività e cinque giorni lavorativi a settimana. Sulla base di un compenso fissato dal ministero in 45,85 euro per ogni revisione, significa che il 63% dei centri incassa giornalmente 458,50 euro al giorno lordi.
È sostenibile l’assunzione di un ispettore addetto esclusivamente all’attività di revisione con questi ricavi? È davvero necessaria una rete di oltre 8mila centri per poco più di 16 milioni di revisioni annue, considerando che solo 119 di essi svolgono mediamente oltre 8mila operazioni l’anno (170 al mese, pari a 34 al giorno)? Una tale rete può sopravvivere solo con l’ausilio dell’attività di riparazione, che però mal si concilia con la qualità della certificazione della sicurezza dei veicoli sottoposti a controllo.
Anche i costruttori di attrezzature sono interessati a una rete estesa. Secondo i dati della Cabina di regia nazionale, nel 2011 l’accordo tra il ministero e le principali associazioni di categoria per l’introduzione del protocollo informatico MctcNet2 è costato in attrezzature a ogni centro 13.000 euro, per un totale di oltre 120 milioni per il comparto. Un business che non avrebbe avuto quelle dimensioni con una rete di centri meno numerosa.
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