Nonostante il dieselgate e il fatto che le revisioni sono presentate come fondamentali per garantire che le emissioni nocive dei veicoli siano in regola, in Italia il controllo dei gas di scarico si continuerà a fare su una sola sostanza: il CO (monossido di carbonio), indice non esaustivo. Il Dm di recepimento della direttiva 2014/45 non ha voluto gravare i centri revisione di ulteriori, pesanti investimenti (l’aggiornamento delle attrezzature ha un forte impatto sui costi delle officine).
Il ministero ha scelto la prudenza: dopo aver stabilito all’articolo 11 i nuovi requisiti tecnici minimi di impianti e apparecchiature e aver disposto la loro periodica verifica di efficienza, nelle norme transitorie all’articolo 16, comma 3, ha disposto la proroga al 2023 dell’obbligo delle nuove attrezzature, tra cui deve esserci un analizzatore in grado di misurare quattro gas. Ciò è in linea con l’articolo 22 della direttiva, che prevede una proroga non superiore a cinque anni a partire dal 20 maggio 2018, ma non significa che dal 2023 saranno controllati anche gli ossidi di azoto (NOx), alla base del dieselgate: occorrerebbero attrezzature ancora più costose, che non sono state rese obbligatorie nemmeno con gli inasprimenti in materia di emissioni che la Ue ha iniziato a varare proprio dopo lo scandalo delle emissioni (la direttiva è di un anno prima del dieselgate e comunque si limita ad auspicare controlli anche sugli NOx). Dati i costi, se in futuro si deciderà di controllare anchegli NOx, potrebbe diventare inevitabile un aumento della tariffa delle revisioni.
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